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Bentivoglio e le minacce velate di don Nuccio

REGGIO CALABRIA Probabilmente, ad altre latitudini, certe vicende sarebbero state relegate al grado di beghe di paese  o di quartiere, avrebbero forse concimato per anni pettegolezzi, maldicenze e ra…

Pubblicato il: 01/03/2013 – 22:22
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Bentivoglio e le minacce velate di don Nuccio

REGGIO CALABRIA Probabilmente, ad altre latitudini, certe vicende sarebbero state relegate al grado di beghe di paese  o di quartiere, avrebbero forse concimato per anni pettegolezzi, maldicenze e rancori incrociati, senza mai trascendere tale livello. A Reggio Calabria no. A Condera no. Perché nel periferico quartiere reggino, regno incontrastato della cosca Crucitti su mandato dei Condello-De Stefano-Tegano, fondare un’associazione che potrebbe pestare i piedi a quella con cui il parroco di zona organizza eventi e rastrella finanziamenti, può essere molto pericoloso. O almeno questo è quanto ipotizza la Procura che ha istruito e oggi sostiene in dibattimento il processo “Raccordo-Sistema”, che vede alla sbarra non solo il boss Santo Crucitti, assieme ad affiliati e gregari, ma anche il parroco di Condera, don Nuccio Cannizzaro, imputato per falsa testimonianza proprio in favore di Crucitti.
Ed è dalla viva voce dell’imprenditore e testimone di giustizia Tiberio Bentivoglio che il Tribunale, presieduto dal giudice Andrea Esposito, ha avuto la possibilità di ascoltare cosa voglia dire mettere i bastoni fra la ruote al potentissimo don Nuccio, che sarebbe stato curiosamente concorde con il boss Crucitti nell’avversare l’associazione Harmos presieduta dall’imprenditore. Una vicenda  che si incastra perfettamente con la ricostruzione investigativa, secondo cui don Nuccio avrebbe reso dichiarazioni false al processo “Pietrastorta” proprio per coprire il boss Crucitti che avrebbe fatto di tutto per ostacolare la Harmos.
“Don Nuccio diceva che non c’era necessità di fare un’altra associazione perché c’era già la sua. Era molto contrariato dal fatto che ce ne fosse un’altra e con molto stile ed eleganza ci disse che non avrebbe accettato di diventarne il padre spirituale”, spiega pacato Bentivoglio. E se il sacerdote, fin dalla sua costituzione, non avrebbe fatto altro che ostacolare e boicottare l’attività della nuova associazione, dal boss Crucitti sarebbero arrivate invece ben più concrete minacce. Addirittura preventive. La prima intimidazione giunge infatti ancor prima che l’associazione venga costituita. Oggetto delle attenzioni di Crucitti, uno dei soci fondatori della Harmos che terrorizzato riferirà dell’interesse del boss per la nuova realtà, che – all’epoca – non esisteva se non nelle intenzioni dei soci e nelle confidenze che questi avevano fatto al sacerdote. Una curiosa coincidenza che solo più tardi i fondatori della Harmos potranno comprendere fino in fondo, tanto che paradossalmente si rivolgeranno proprio a don Nuccio – la cui parrocchia era frequentata da Giuseppe Romeo, personaggio vicino al clan – per assicurare al boss che la nuova realtà associativa non avrebbe dato alcun fastidio, riferisce Bentivoglio.
Minacce e pressioni che non fermano il gruppo. Nonostante l’intimidazione avesse fatto allontanare due delle aspiranti socie fondatrici, lo zoccolo duro decide di andare avanti. E non si rassegna all’ostilità del parroco – che non comprende e pensa riferibile a vecchie ruggini di quartiere – tanto che, ricorda Bentivoglio “lo informavamo di ogni iniziativa”. Del resto, l’imprenditore e don Nuccio erano amici di vecchia data, “a lui avevo rivelato anche cose personali e delicate, come la sottrazione di una pistola in occasione del furto subito nel ’92. E in quell’occasione rimasi sbigottito, perché don Nuccio mi disse che anche lui girava armato”. Membro attivo della comunità, presente nel consiglio pastorale per quasi dieci anni, è con rimpianto e amarezza che l’imprenditore parla “di quello che consideravo l’amico don Nuccio”. Saranno gli eventi – quelli quotidiani della vita di quartiere e quelli più gravi e tragici come le intimidazioni subite da Bentivoglio – a svelare a lui e agli altri soci il vero ruolo del sacerdote.
È nella quotidiana vita di quartiere che si consumano scaramucce e sgarbi. È  nel corso dell’ordinaria attività della Harmos – organizzazione di feste, iniziative più o meno culturali e spettacoli di piazza – che i soci scoprono l’esistenza della Laos, un’altra associazione presieduta da don Nuccio e che negli anni sarebbe stata destinataria di fondi cospicui da parte di diversi enti pubblici. Ma soprattutto è all’indomani dell’attentato subìto dall’imprenditore, titolare della Sanitaria Sant’Elia rimasta semidistrutta da un incendio, che l’uomo inizierà ad essere assalito dai primi sospetti. Interrogato dal pm Mario Andrigo si sentirà infatti chiedere lumi su un maxifinanziamento che la parrocchia di Condera avrebbe ricevuto da Alberto Sarra per finanziare la ristrutturazione, così come sul ruolo di Crucitti, del suo sodale Giuseppe Romeo e di Pasquale Morisani, all’epoca solo rampante politico reggino. “Sono rimasto sbigottito – rammenta Bentivoglio – e allora ho chiamato don Nuccio, ho chiamato il mio amico di un tempo e gli ho detto cosa i magistrati mi avessero chiesto durante l’interrogatorio”. Una questione che il sacerdote avrebbe liquidato rapidamente senza fornire alcuna spiegazione a Bentivoglio, che solo quando verrà individuato come parte offesa nel processo “Eremo/Pietrastorta” inizierà a comprendere. “Leggo conversazioni intercettate di Pasquale Morisani e Giuseppe Romeo, durante le quali parlano della visita che Marcianò aveva ricevuto da Crucitti e Romeo dice testualmente: mi ha chiamato il prete e mi ha riferito di questa cosa”.
Una rivelazione che sconvolge Bentivoglio e che fa il paio con la velata minaccia che – riferisce in aula – avrebbe ricevuto poco dopo sua moglie. Una velata minaccia che sarebbe arrivata direttamente dal sacerdote. “Avevamo in programma due eventi, una sfilata di moda e un evento di folclore. Era tutto pronto quando don Nuccio incontra mia moglie e le chiede di parlarle. È stato allora che le ha detto – sottolinea  Bentivoglio, ricordando le parole del sacerdote  – :Nnon lo capite che dovete smettere. Cosa vuoi, che ti bruciano il locale di nuovo?”.
Parole esplicite che avrebbero pietrificato la donna e indotto i soci dell’associazione a paralizzare definitivamente ogni attività. Una cartina tornasole per Bentivoglio che solo allora – sostiene – inizia a pensare che i gravi attentati di cui nel tempo è stato vittima, possano essere riconducibili all’attività dell’associazione. Una realtà che avrebbe potuto far concorrenza – è emerso in istruttoria – tanto alla Laos del sacerdote, come alla Evelita, gestita dall`ex assessore comunale, Pasquale Morisani, che nel quartiere ha storicamente il proprio zoccolo duro. Una realtà dunque scomoda. Dunque da ostacolare.
È questo il cuore della ricostruzione investigativa ed è questo il punto su cui più si è concentrata la difesa di don Nuccio, rappresentata dall’avvocato Giacomo Iaria, che ha provato a dimostrare come lo stesso Bentivoglio non abbia mai ufficialmente formalizzato questi sospetti. Ed è utilizzando le sterminate denunce che Bentivoglio è stato costretto a presentare nel corso degli ultimi dieci anni, in seguito a minacce e intimidazioni che si sono spinte fino al tentato omicidio, che il legale ha incalzato Bentivoglio. Contestazioni cui l’imprenditore ha risposto punto per punto, per poi concludere con quanto a più riprese ha affermato nel corso della lunghissima udienza odierna: “Io vorrei avere don Nuccio davanti per chiedergli conto di tutte le falsità che ha detto, come quando ha denunciato mia moglie per calunnia”. Ma quell’incontro – a detta di Bentivoglio tanto cercato – non ci sarebbe mai stato.

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