Processo Epilogo, servizi segreti in fibrillazione
Servizi segreti in fibrillazione: due dispacci “riservatissimi” sono già stati spediti lunedì alla Presidenza del Consiglio e ai vertici dell’Aisi. Nervosismo anche negli ambienti giudiziari interess…

Servizi segreti in fibrillazione: due dispacci “riservatissimi” sono già stati spediti lunedì alla Presidenza del Consiglio e ai vertici dell’Aisi. Nervosismo anche negli ambienti giudiziari interessati. Tutti a chiedersi cosa li agita e fin dove si vogliono spingere gli imputati alla sbarra nel processo “Epilogo”. Da ventiquattr’ore hanno iniziato lo sciopero della fame per protestare contro la mancata convocazione di alcuni testimoni “eccellenti”: dal presidente della commissione parlamentare Antimafia nella passata legislatura Beppe Pisanu, a quello del Copasir, Massimo D’Alema; dal maggiore dei carabinieri, Gianluca Vitagliano all’ex capo della Mobile, oggi trasferito a Roma, Renato Cortese; dal procuratore Salvatore Di Landro fino all’ex talpa dei Servizi – sul cui capo pende una richiesta di condanna a 17 anni per concorso esterno in associazione mafiosa – Giovanni Zumbo.
A memoria non si ha ricordo di iniziative così plateali, affidate ad un “portavoce” che dalle sbarre rompe la consegna del silenzio e si dichiara coordinatore della protesta spiegandone le ragioni. Invece questo sta accadendo: Maurizio Cortese, evidentemente autorizzato a ciò, salta il ruolo dei difensori e interloquisce con chi lo deve giudicare. Coordina il manipolo di imputati che, secondo l’accusa, avrebbe ordito, sotto l’egida del clan Serraino, la stagione delle bombe a Reggio Calabria. Sostiene che si tratta di un depistaggio per coprire i veri colpevoli e camuffare le vere ragioni dei “mandanti”. Assicura che i “Servizi” in riva allo Stretto sarebbero tornati a giocare sporco, un po’ per come confidava al boss Giuseppe Pelle proprio la “talpa” Giovanni Zumbo.
Per carità, il rischio che si tratti di un diversivo per togliersi dai guai è più che fondato, ma resta il fatto che dichiarando lo sciopero della fame si spingono verso strategie che la `ndrangheta ha sempre ripudiato, non foss’altro che per non perderci in “ominità”. E allora cosa sta capitando?
Maurizio Cortese, intervenendo da dietro le sbarre la mette giù così: «Abbiamo deciso di iniziare lo sciopero della fame per protestare contro la decisione del Tribunale di non citare i testimoni della presunta operazione di depistaggio». «Non mi sento sereno – gli fa eco Francesco Tomasello – perché non sono stati accettati i testimoni da noi proposti, quindi non ci è garantito pienamente il diritto alla difesa». Davanti alla sempre più sorpresa presidente del Tribunale, Silvana Grasso, si alzano poi Giovanni Siclari e Fabio Giardiniere, giusto per dire che anche loro aderiscono allo sciopero della fame.
Ma è un altro intervento da dietro le sbarre quello destinato a far fibrillare il “Palazzo”. Con lentezza studiata e calibrando le parole, benedice la protesta l’anziano boss Demetrio Serraino, si scusa con i suoi “ragazzi” se potrà essere solidale solo spiritualmente, «per ragioni di salute non posso fare lo sciopero della fame». Detto questo, però, fa sua la protesta e ne spiega le ragioni senza con questa lasciare spazio per qualsiasi equivoco sulla sua condotta: «A me interessa la verità, se la famiglia Serraino in passato ha sbagliato, ha sempre pagato. Non capiamo perché non sono stati accettati i testi che avrebbero provato il depistaggio nei nostri confronti».
Parla al Tribunale, è chiaro, ma altrettanto chiaro è che si riferisce anche a ben altri soggetti che stanno fuori da quell’aula e lontano da Reggio Calabria. Debbono sapere che i Serraino non accettano di fare da “coperchio” a nessuno. Possono farsi carcere ma non intendono farselo per le “tragedie” altrui. È l’ultima mossa, quella di Demetrio Serraino, in una partita a scacchi che il pubblico ministero Giuseppe Lombardo è pronto a giocare. Ma con le regole del diritto e senza percorsi tortuosi. Lombardo, infatti, si è opposto alla citazione dei testimoni “eccellenti” trovandola pretestuosa perché non accompagnata da concrete indicazioni. Nel contempo, però, ha chiesto formalmente di acquisire gli atti al suo ufficio e ci ha aperto un fascicolo. Come dire: se c’è da far luce, il mio ufficio non si tira indietro, ma i Serraino non pensino di poter fare i pupari, le cose che hanno da dire le dicano prima loro.
In sostanza, l’indicazione di testimoni eccellenti come Pisanu o D’Alema sarebbe di contorno rispetto alle altre. È un modo per “allarmare il mondo”, invocare che si ponga rimedio alle “tragedie” lamentate ma senza esporsi più di tanto nel raccontarle.
Il “portavoce” Maurizio Cortese allora si spinge ancora più avanti: «Non vogliamo forzare la mano ai giudici, ma per noi è importante chiarire perché siamo stati accusati, chi ha deciso di puntare su di noi. Ho letto personalmente, per sette ore al giorno, le carte del processo di Catanzaro e quello che ho letto non mi fa sentire sereno. Quelli sono i veri mafiosi. Quelle fonti confidenziali che ci hanno fatto arrestare». Di più: fa sapere che qualcosa lui e gli altri sono anche intenzionati a dirla e per questo hanno chiesto di essere sentiti dal procuratore capo di Catanzaro, Vincenzo Lombardo. Perché si rivolgono alla Procura di Catanzaro? Ritengono vi siano fatti che potrebbero riguardare magistrati di Reggio? Non lo chiariscono, chiariscono invece, che sono pronti ad essere interrogati «anche dal pm Giuseppe Lombardo che ci sta facendo il processo qua a Reggio, ma per noi prima è importante capire chi ha puntato su di noi, se effettivamente c`è stato un depistaggio».
La pentolaccia reggina è in ebollizione, vecchi equilibri saltano e i referenti istituzionali cercano di lasciare gli alleati di ieri nelle sabbie mobili. Siamo alle prime avvisaglie, ai messaggi sottili. Il rischio di arrivare ben oltre è altissimo. Guai a sottovalutarlo. (0050)