Resta un giallo quanto accaduto nel casolare di Torrimpietra, nelle campagne di Fiumicino, dove hanno perso la vita Domenico Paladino (57 anni) e suo nipote Francesco (50). Per fare chiarezza sulle cause della morte sarà necessario, avvertono i carabinieri del gruppo di Ostia, «aspettare l’esito dell’autopsia. Ma i primi tasselli di questa assurda tragedia iniziano a delineare i contorni del puzzle, soprattutto grazie alle parole di Leonardo Paladino (23 anni), figlio di Domenico e unico superstite della serata a base di carne alla brace e conserve fatte in casa.
La prima nota ufficiale arriva infatti oggi dal Policlinico Gemelli che, in una nota ufficiale, fa sapere che Leonardo Paladino «è sottoposto a un trattamento intensivo per intossicazione da monossido di carbonio. Le sue condizioni sono stabili, la prognosi permane riservata». Sappiamo quindi che il piccolo braciere trovato spento dai carabinieri potrebbe avere giocato un ruolo importante nella vicenda, anche se ancora non si esclude che a causare la morte dei due albidonesi possano essere state le conserve o la carne consumata al sangue, «quasi cruda», ha riferito Leonardo, durante la cena di venerdì.
Il giovane ha riferito ai carabinieri che i tre avevano mangiato alimenti sott`olio e la carne al sangue e si erano sentiti male subito dopo averla mangiata. L`appartamento è molto piccolo e non è escluso che il monossido possa essere una concausa della loro morte. L`autopsia e gli esami tossicologici stabiliranno con esattezza le cause.
Il viaggio a Roma
Domenico e Leonardo Paladino si trovavano a Roma per motivi di salute. Sabato mattina Francesco, l’altro figlio di Domenico, doveva essere operato al naso in seguito ad uno scontro avuto durante una partita di calcio. Il padre, medico anestesista, e il fratello lo avevano accompagnato ed erano poi andati a cenare nel casale di Fiumicino insieme a Francesco, che si era trasferito a Roma dove lavorava da anni. Francesco Paladino era anche stato anche coinvolto nell’inchiesta sulle nuove Brigate Rosse e faceva il barista allo stadio Olimpico di Roma.
La cena nel casolare
Il casolare di Torrimpietra dove Francesco ospitava i parenti calabresi è isolatissimo. Qui, intorno alle dieci, i tre hanno iniziato ad arrostire carne e a consumare i sottaceti, tanto che si è subito pensato che la causa della morte fosse il botulino. Qualche ora dopo i tre hanno iniziato a sentirsi male finché – e siamo intorno alle due della notte fra venerdì e sabato – Leonardo non ha chiamato il 118 con il suo cellulare. «Mio padre e un mio parente si sono sentiti male – avrebbe riferito – Ci trovate a questo indirizzo». L’indirizzo, però, era piuttosto vago. E, come se non bastasse, a rendere più difficile il compito dell’autista, Leonardo avrebbe dato un nome falso: Leonardo Vaglia.
La ricerca dell’ambulanza
L’ambulanza, infatti, non riesce a rintracciare il casolare. Medici e infermieri bussano a diversi cancelli senza rintracciare gli autori della chiamata – che non rispondono più al cellulare – e quando danno il nome di Leonardo Vaglia si sentono rispondere che in quella zona non abita nessuno che si chiami in quel modo. Accendono la sirena per farsi sentire, aspettano che qualcuno gli indichi dove andare, poi rinunciano e rientrano alla base.
Il ritrovamento
Ci vuole il mattino di sabato per trovare i tre. L’allarme delle famiglie, a quel punto, è massimo. C’è un intervento chirurgico programmato e nessuno riesce a capire che fine abbiano fatto Domenico, Francesco e Leonardo, che si sarebbero dovuti presentare in ospedale di prima mattina. E’ un medico originario di Albidona e che lavora nel Lazio a mettersi in macchina e partire alla ricerca del casolare, dove trova i tre conterranei per terra e in pigiama. Per Domenico e Francesco non c’è più niente da fare, Leonardo viene soccorso subito e ora lotta per la vita al Gemelli di Roma.
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