Stupor mundi, il processo a Reggio
REGGIO CALABRIA Sarà la Corte d’appello di Reggio Calabria a giudicare gli imputati del processo “Stupor mundi”. Nonostante le eccezioni di incompetenza territoriale presentate dal folto collegio dif…

REGGIO CALABRIA Sarà la Corte d’appello di Reggio Calabria a giudicare gli imputati del processo “Stupor mundi”. Nonostante le eccezioni di incompetenza territoriale presentate dal folto collegio difensivo, il prossimo 18 giugno il pg Fulvio Rizzo pronuncerà la propria requisitoria di fronte alla Corte d’appello di Reggio, presieduta da Rosalia Gaeta, con Cappuccio e Sabbatini a latere. È questo l’esito di una vicenda processuale lunga e complicata che aveva visto la Cassazione annullare con rinvio una precedente sentenza di Appello che – oltre a condannare 19 imputati – aveva dichiarato la sussistenza della competenza del giudice reggino a valutare i fatti oggetto del procedimento. Alle difese era stata, in precedenza, negata la possibilità di formulare eccezioni di incompetenza territoriale, perché – nell’intendimento della Corte – la richiesta degli imputati di essere giudicati con le forme del giudizio abbreviato avrebbe implicitamente comportato la rinuncia a tale tipo di opportunità.
Un’interpretazione che la Cassazione non ha sposato, disponendo che la Corte d`appello reggina si pronunci nuovamente individuando il giudice territorialmente competente. Una decisione giunta oggi e che ha individuato Reggio come giudice naturale dei 19 imputati, coinvolti in quella che l’ex capo della Dna, oggi presidente del Senato, Piero Grasso, aveva definito come «la madre di tutte le inchieste in materia di narcotraffico». Scattata il 9 maggio 2007, l’operazione aveva permesso di sgominare un traffico di sostanze stupefacenti gestito da famiglie di peso della `ndrangheta del mandamento jonico e non solo, come gli Spagnolo-Polifroni-Murdaca di Ciminà, Marando e Trimbolidi Platì, i Giorgi di San Luca e i Gallace e Leotta di Guardavalle. Tutte famiglie che avevano puntato sul grande broker del narcotraffico Alessandro Pannunzi, figlio di quel Roberto, detto Bebè, ritenuto il “re della droga” grazie ai suoi rapporti privilegiati con i narcos latinoamericani.
Ed è seguendo le orme del padre che Alessandro Pannunzi avrebbe gestito un fiume di droga che dalle rotte sudamericane arrivava fino in Olanda, per poi defluire nel nord Italia, dove sono stati individuati – anche grazie al collaboratore di giustizia Rocco Varacalli – i responsabili dello smercio al dettaglio. (0090)