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Ravasi: fede antitetica alle mafie

CATANZARO «In quei territori che hanno un`impronta fortemente religiosa c`è il rischio che si consumi una sorta di grande abuso, cioé che la criminalità organizzata possa strumentalizzare una struttu…

Pubblicato il: 20/04/2013 – 18:31
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Ravasi: fede antitetica alle mafie

CATANZARO «In quei territori che hanno un`impronta fortemente religiosa c`è il rischio che si consumi una sorta di grande abuso, cioé che la criminalità organizzata possa strumentalizzare una struttura fondamentale come la religione per finalità antitetiche ad essa. Ed è in quel momento che si compie una vera e propria bestemmia, anche se magari si usano santuari, preghiere e forme espressive che appartengono alla religione». Lo ha detto oggi a Catanzaro il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura, nel corso del convegno dal titolo “Religiosità: tra fede e superstizione“ svoltosi nell`aula magna dell`università “Magna Graecia“ nell`ambito dell`iniziativa “Il cortile dei gentili“. All`incontro, moderato dal vaticanista del Tg2, Enzo Romeo, hanno partecipato anche Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Roma, e Michele Prestipino, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, che sono intervenuti dopo i saluti del rettore dell`università di Catanzaro, Aldo Quattrone, e dell`arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone. «Bisogna distinguere – ha detto Ravasi – la fede dalla religione: la prima è il punto più alto della passione umana, è ricerca del senso ultimo dell`esistenza e della trascendenza. La religione, invece, è una sorta di comportamento globale e sociale, ma che può essere, in una forma completamente distorta, privo di fede, una sorta di involucro vuoto. Così si spiega la falsa religiosità dei mafiosi, marcata con altarini e processioni, manifestazione che potremmo derubricare a vuota superstizione». Ravasi ha parlato anche del rapporto tra fede e opere e dell`impegno sociale dei credenti. «Laddove c`è corruzione e falsa religiosità – ha detto – il vero credente deve mettersi in moto e adoperarsi per trasformare la sua fede in impegno etico e sociale. Non si può tacere limitandosi alla preghiera per chi sbaglia, non è questa l`autentica unione tra fede e religione: il credente deve entrare nella società e combattere le strutture di peccato del mondo». Sulla stessa linea il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, per 4 anni alla guida della Procura di Reggio Calabria. «L`aspetto peggiore della `ndrangheta – ha sostenuto – è l`avvelenamento progressivo della società, che in certi momenti sembra accettare il male e non voler reagire. Il discorso – ha proseguito – vale per il politico che si lascia corrompere come per lo studente che accetta la raccomandazione per superare un esame, e riguarda anche alcuni magistrati, perché non ci sono categorie che si salvano a priori. È evidente che c`è un`enorme strumentalizzazione da parte della mafia del sentimento religioso. C`è una posizione ufficiale della Chiesa molto forte, i vescovi italiani parlano della mafia come di un cancro ma ci sono anche dei dati che non si possono occultare: alcune ricerche, come quelle condotte a Palermo nel 2005 e in Calabria nel 2012, mostrano che spesso la Chiesa ha considerato la mafia non un suo problema ma delle istituzioni statali, soprattutto di magistratura e polizia. Sono tante le cose che si possono fare. Sicuramente l`apparato repressivo deve fare la sua parte per aprire spazi di libertà alla società civile, ma quegli spazi poi devono essere occupati. La prima cosa, in ogni caso, è prendere sempre le distanze dalla `ndrangheta». Prestipino ha ricostruito i legami tra religiosità e criminalità organizzata. «In Sicilia e in Calabria – ha detto – sono stati arrestati molti capi mafia e a nessuno mancava un`immagine sacra. Nel covo di Provenzano, oltre alla Bibbia e a un libro di preghiere, sono stati trovati quadri con soggetti religiosi e 91 immagini sacre. Interrogarsi sul perché ciò accada, a dispetto di ogni apparente logica, è importante perché permette di fare un passo avanti nella conoscenza e nel sapere sulle mafie. Da qui si parte per mettere insieme un`efficace organizzazione di contrasto sul piano sociale, culturale e religioso». Secondo Prestipino, tuttavia, la religiosità distorta delle organizzazioni criminali non è solo superstizione e rituali scaramantici. «La stagione dei collaboratori di giustizia – ha detto – aprì in Cosa nostra delle crepe fortissime e la successiva strategia del terrore, degli anni `92 e `93, voluta dai vertici mafiosi fallì. Fu in quel momento che Provenzano capì l`esigenza di ricompattare l`organizzazione, di ricreare un legame tra organizzazione e territorio, sfruttando la forte religiosità della popolazione. Serve dunque un`azione specularmente complessa, che non può essere solo denuncia: la comunità ecclesiale deve aggiungere qualche cosa, seguendo l`esempio di don Pino Puglisi la cui attività, fuori dal clamore mediatico, resta un altissimo punto di riferimento morale e religioso». (0090)

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