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ALL INSIDE /3 | Il ruolo delle donne di `ndrangheta

REGGIO CALABRIA Certa letteratura le vuole custodi delle regole delle `ndrine, come delle faide, alimentate dall’odio che loro hanno saputo inoculare come un virus durante l’infanzia. La cronaca nu…

Pubblicato il: 13/06/2013 – 22:44
ALL INSIDE /3 | Il ruolo delle donne di `ndrangheta

REGGIO CALABRIA Certa letteratura le vuole custodi delle regole delle `ndrine, come delle faide, alimentate dall’odio che loro hanno saputo inoculare come un virus durante l’infanzia. La cronaca nuda, raccolta nelle ordinanze e nei procedimenti, le ha raccontate nel comune ruolo di messaggere degli ordini che i congiunti dietro le sbarre hanno bisogno di inviare agli affiliati rimasti all’esterno, più raramente fittizie intestatarie di beni o attività, ma quasi mai con un ruolo di rilievo. Le donne di `ndrangheta sono spesso dipinte come vittime inconsapevoli di una logica di sangue e omertà, violenza e sopruso, prigioniere loro malgrado di un universo basato sulla sopraffazione e declinato tutto al maschile. Ma alcune donne della famiglia Ascone no. L’operazione All Inside 3, nel delineare la figura di Carmela Fiumara, moglie di Antonio Ascone e madre di Vincenzo e Michele, non racconta solo la storia della moglie di un boss, ma quella di una donna che è divenuta boss e centro propulsore delle azioni criminali della sua famiglia.
Come molte altre compagne, figlie e parenti di boss anche lei – quando il marito e i figli sono dietro le sbarre – è chiamata a trasmettere notizie ai detenuti, come ad aggiornarli sulla delicatissima situazione all’esterno nel momento più cruento della faida, ma il suo ruolo non si limita a questo. Non a caso, è lei – non i cognati, definiti troppo deboli per rappresentare gli interessi del clan – l’unica autorizzata ad interloquire con Rocco Ascone, cugino del marito ed esponente di spicco delle `ndrine lombarde, quando si precipita in Calabria per verificare la possibilità di una soluzione alla faida. Ed è lei e solo lei a riferire al cugino del nord, la direttiva di cercare di capire, di prendere tempo, che il marito le ha consegnato durante il colloquio in carcere. Una decisione che Antonio Ascone non ha preso in autonomia, ma confrontandosi con la compagna che – se è possibile – si mostra ancora più fredda, cinica e determinata di lui nei momenti di maggiore tensione.
È il 24 agosto del 2007. Carmela è in carcere a colloquio con il marito, cui sta riferendo gli esiti di una riunione per la ricomposizione della faida. In quella sede, a uno dei figli dei due – Vincenzo – è stata attribuita la responsabilità dell’omicidio di Domenico Sabatino, uomo vicino al clan Pesce, senza che il reggente Antonio Ascone, fosse stato in grado di difendere fino in fondo il nipote. “Noi non ci possiamo rispondere perché i nostri sono assenti …(inc)… ognuno ha mogli, ognuno ha sorelle, ognuno ha figli”, dice la donna accarezzando l’ipotesi di future vendette nel caso il figlio venga toccato.
Ed è con la ferocia di una belva che la donna difende Vincenzo e il fratello Michele. “Poi i ragazzi hanno chiamato all`ospedale, li hanno accompagnati “fighiulazzi”, se erano persone di esperienza neanche li portavano all`ospedale, li entravano in una casa e glieli facevano in una casa, chiamavano i medici e si vedeva quello che si doveva fare, hanno chiamato là all`ospedale i Carabinieri, hai capito?…I Ros”, racconta a Giuseppe Ascone, scagliandosi contro chi, dopo l’agguato, ha deciso di condurre Vincenzo in ospedale piuttosto che nasconderlo in attesa di cure clandestine. La medesima stizza con cui racconta la “sfortunata” circostanza che ha portato all’arresto del ragazzo. “Non avevano niente, a quelli Cenzo li poteva “coricare” come voleva… appena scendeva dalla macchina gli sciancava la pistola e lì ammazzava a tutti e due”, dice la donna rammaricandosi che il figlio fosse disarmato, dunque incapace di reagire al controllo delle forze dell’ordine.
Del resto, dei figli – Michele prima e Vincenzo dopo – Carmela ha sempre difeso come una fiera la latitanza, raccomandando – ad esempio – al figlio Vincenzo di non dire alcunché di compromettente durante il ricovero in ospedale per la possibile presenza di microspie. Allo stesso modo, ha preteso e organizzato la risposta agli affronti e agli agguati subiti. “Si doveva vedere quello che si doveva fare…e lo hanno fermato tutti! Turi…gli ha detto:”Aspetta! che per ora non è il momento di fare niente, adesso…questa cosa! Hanno perso questa carrozza…(inc)… chiaro chiaro e tondo tondo!… e chi la deve prendere una decisione? Perché ognuno dice se mi danno lo sta bene sì, se no non è che partiamo…se no quando lui esce…(inc)…., vanno dalla finestra e vedi lo ammazzi “e si fa secco” …”sta zavorra” devono morire tutti.. una spilla sotto i piedi non gli deve rimanere, chiaro chiaro e tondo tondo,…Moriamo Tutti!…Non mi interessa! Succede”, esplode la donna, parlando con la figlia Sonia e il cognato Antonio, considerato il reggente del clan, quando a uno degli affiliati arriva il caldo consiglio – in gergo “l’imbasciata” – di non farsi vedere in giro con Vincenzo perché divenuto obiettivo del clan rivale. E le parole di Carmela, quando la notizia le arriva all’orecchio, non lasciano spazio a dubbi, né a contestazioni. Non è lo sfogo di una madre – lascia intendere l’ordinanza di custodia cautelare che l’ha spedita dietro le sbarre – ma l’ordine proferito da un elemento di peso all’interno del clan. Del resto, è lei a gestire la cassa e le armi, è lei ad avere precisa contezza degli affari di droga della consorteria. Responsabilità e poteri che danno alle sue parole un peso che parenti e affiliati devono considerare. Anche negli intendimenti più feroci e spietati.
Una fredda determinazione che sembra contraddistinguere anche la sottile strategia con cui Francesca Marfea, moglie del reggente Antonio Ascone, costruisce la vendetta per la morte del figlio Domenico. Non si rivolge al marito, forse considerato troppo diplomatico e attendista, ma va a bussare direttamente alla porta del nipote Vincenzo, all’epoca detenuto, ma vero braccio operativo del clan. E prima ancora, prepara il terreno con familiari e congiunti. Alla moglie di Salvatore Ascone dice infatti “se ha appoggio tuo marito deve vedere quello che deve fare… per tuo cognato (si corregge) per Vincenzo, per l’occhio delle gente è per vendicare a quello la, ma però l’elemento, il messaggio è per dire chi è che comanda…il messaggio era per fare capire a questi qua chi è che comanda”. Quando Vincenzo uscirà dal carcere – dice la donna – “ci penserà lui”, a differenza di “suo cugino Rocco (Ascone) hanno paura, dice che quando Rocco è andato a parlare con loro gli ha raccomandato che non succeda più nulla e li ha minacciati”.
Una strategia sottile per seminare zizzania e creare un clima favorevole al progetto di vendetta, che chiede al nipote di eseguire. È il 15 dicembre 2007 quando Francesca si presenta in carcere dal nipote, dal quale pretende supporto perché “E’ stata… è stata una parola detta in casa mia, per difendere te, che adesso l’ho scoperto. E non ho potuto dire niente. Per difendere te. Hai capito? Era pronto per andare a fare quello che sai tu, e quelle parole sono state fatali”. A Vincenzo la donna spiega che il figlio è stato ucciso perché aveva identificato gli autori dell’agguato di cui il cugino era stato vittima ed era intenzionato a vendicarlo. Una rivelazione di fronte alla quale il ragazzo non può che rassicurare la zia “lo pagano, lo pagano a tuo figlio non ti preoccupare. Lo pagano, lo pagano, non ti pensare che ne fanno di cotte e di crude”. Ma alla donna non basta “io non voglio che lo pagano in questo modo, ma che mangino..”. C’è un omissis a coprire i progetti – presumibilmente omicidiari – della donna, ma non c’è censura che possa coprire la rabbia e il livore della Marfea, che in quella giornata di dicembre chiede al nipote di lavare con il sangue l’omicidio del figlio. Una richiesta su cui la donna invita Vincenzo a mantenere il più stretto riserbo. “ha detto tuo zio, mi raccomando, che non ti escano queste cose con nessuno… No no, comunque con nessuno, né con tuo fratello, né con nessuno..queste sono cose segrete”. Cose seg
rete che lei non ha paura di rivelare, probabilmente perché – accanto a lei – c’è la potentissima cognata, nonché madre di Vincenzo, Carmela Fiumara. Un altro angelo del focolare con le mani rosso sangue. (0070)

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