Processo "Archi-Astrea", acquisito il memoriale del "Nano"
REGGIO CALABRIA «Il memoriale di Nino Lo Giudice non è un documento anonimo, ma soprattutto tratta argomenti pertinenti al procedimento in trattazione, per questo motivo il Tribunale acquisisce il do…

REGGIO CALABRIA «Il memoriale di Nino Lo Giudice non è un documento anonimo, ma soprattutto tratta argomenti pertinenti al procedimento in trattazione, per questo motivo il Tribunale acquisisce il documento»: è con una motivazione forte che, nell`ambito del procedimento “Archi-Astrea”, il giudice di Reggio Calabria Campagna ha deciso di accogliere l’istanza di acquisizione dello scottante documento avanzata la scorsa udienza dall’avvocato Lorenzo Gatto. A un mese di distanza dalla scomparsa del “Nano” – mentre più Procure indagano tanto sulla scomparsa, come sulle pesantissime accuse lanciate dal pentito nel suo memoriale – il documento che il collaboratore di giustizia ha voluto far pervenire a Reggio Calabria e con cui smentisce gran parte delle sue precedenti rivelazioni, continua a dividere giudici e tribunali, per nulla unanimi nell’affrontare la questione.
Sebbene il “Nano” non abbia deposto nel procedimento, il giudice Campagna ha deciso di acquisire quanto affermato in quelle sei pagine. Una decisione giunta al termine dell’udienza che ha visto sfilare di fronte al collegio due storici collaboratori di giustizia, Giovanni Riggio e Paolo Iero. Pentito della prima ora, Giovanni Riggio – cresciuto all’ombra della cosca Latella del locale di Croce Valanido – è con gli occhi del killer che con i suoi delitti ha scritto parte della storia di quella guerra che dall’85 al `91 ha insanguinato Reggio città e gettato le basi dei nuovi assetti delle `ndrine, che spiega quali siano state le basi su cui i futuri rapporti di forza criminali sono stati fondati. «I rapporti fra la cosca Latella e i De Stefano-Tegano sono sempre stati buoni, ma dopo la morte di don Paolo De Stefano sono divenuti ancor più solidi». Anche prima che l’omicidio dell’allora boss Pasquale Latella obbligasse il clan a schierarsi ufficialmente – ricorda il collaboratore, cui tanti anni di detenzione hanno regalato un improbabile accento del Nord – «il clan aveva fatto alcuni omicidi per i De Stefano-Tegano, come quel Quattrone ucciso sulla strada che da Arno porta a Cardeto». E quando, nel novembre `87, l’uccisione del boss obbliga il clan a una presa di posizione ufficiale, i Latella si schierano senza dubbio alcuno con i destefaniani, ma il rapporto non sarà mai paritario. Se il clan – impegnato anche in una guerra interna con la frangia ribelle dei Ficara – aveva facoltà di amministrare la violenza sul proprio territorio, «gli obiettivi della guerra venivano individuati dai vertici degli schieramenti, cioè nei fratelli Tegano, Pasquale Libri e il figlio Antonio». Ma anche fra gli stessi fratelli Tegano, non tutti avrebbero avuto lo stesso peso. «Giovanni era il vertice assoluto – dice con sicurezza Riggio – nelle riunioni era lui a decidere per l’intera cosca Tegano, l’ho potuto constatare di persona. Era estremamente carismatico e anche i suoi fratelli facevano riferimento a lui, prima di assumere una decisione». Un carisma tale da consentire al boss Tegano di chiedere e ottenere dai Latella l’eliminazione di Francesco Sottile, uno dei leader del clan dei Cursoti, storica consorteria di Barcellona Pozzo di Gotto, cui il boss catanese Nitto Santapaola aveva dichiarato guerra. E sarebbe stato proprio il boss Santapaola a chiedere ai Tegano il “favore” di eliminare quell’ingombrante avversario. Forte del medesimo carisma, a Giovanni Tegano – ricorda Riggio – è bastato ordinare di non sparare più, perché omicidi e attentati si fermassero immediatamente. «Era l’estate degli accordi, l’estate del `91». La stessa estate dell’omicidio del giudice Nino Scopelliti, un altro dei favori che i siciliani avrebbero chiesto ai clan dirimpettai nel quadro – ipotizza oggi la Procura reggina, che al riguardo ha da tempo aperto un fascicolo – di una più complessa e ampia Trattativa in cui anche la `ndrangheta avrebbe avuto un ruolo. E quell’estate – ricevuto lo stop da Giovanni Tegano – anche i Latella hanno smesso di sparare. Ma capi e gregari del clan di Croce Valanidi non sarebbero i soli a eseguire alla lettera gli ordini del boss Tegano. Già da allora, alla sua corte si sarebbero fatti notare parenti e affiliati – futuri generi o nipoti, come Roberto Moio – che all’indomani della guerra avrebbero giocato un ruolo sempre più importante nel consolidamento del potere del clan. Un potere che Riggio – pentitosi nel ’93 – ha visto nascere e crescere negli anni della guerra, ma non dispiegarsi alla sua conclusione. Eppure è con la precisione di chi ha imparato a conoscere quel mondo dall’interno, che il pentito è in grado di spiegare in che modo i killer di un tempo – come Luigi Molinetti o Carmelo Murina, «che per i Tegano gestiva il quartiere di Santa Caterina» – siano diventati personaggi fondamentali nella gestione successiva. Un ruolo che il collaboratore non sa se sia stato accompagnato da nuove cariche o gradi, anche perché – dice chiaramente – «dentro una locale ci sono diverse cosche e ci sono regole che disciplinano i rapporti fra loro, ma si tratta per lo più di cose folcloristiche». Il potere vero e i rapporti che questo implica – fa intendere Riggio – non è una carica a santificarlo. Più breve e decisamente meno densa la deposizione di Paolo Iero, il collaboratore che prima tenta di trincerarsi dietro la facoltà di non rispondere, quindi – in assenza di procedimenti aperti che gli consentano il silenzio – a malincuore cede alle domande del pm Giuseppe Lombardo. «Dottore non sono fiero del mio passato e non mi piace parlare di queste cose, ma soprattutto non mi piace accusare chi con me in fondo si è sempre comportato bene», quasi sbotta Iero, prima di rispondere alle domande del pm sulla cosa Labate. Elemento di spicco prima del clan Labate, quindi dei Serraino-Rosmini, fermatosi per sua volontà al grado di santista «perché volevano darmi il Vangelo, ma io ho chiesto che invece mi dessero più soldi», Iero è chiamato a testimoniare sull’ascesa criminale di quel Giuseppe Candido, affiliato ai “ti Mangio” e arrestato nell’inchiesta “Archi-Astrea”. «Lui ha sempre lavorato con i Labate come autista – ammette Iero – poi per fidelizzarlo ancora di più lo hanno affiliato con il grado di camorrista. Alla cerimonia ero presente pure io, ma mi sono meravigliato perché l’ho sempre conosciuto solo come un gran lavoratore». O almeno, tale era – dice il collaboratore – fino al 1988, quando lo stesso Iero si è avvicinato ai Rosmini e con loro ha continuato la sua ascesa criminale. Ma questo non gli ha impedito né di mantenere i buoni rapporti con i “Ti mangio”, «che fino a quando non ho iniziato a collaborare mi hanno sempre fatto arrivare soldi, anche se non erano tenuti», né di essere al corrente delle attività del clan, inclusa quella sala biliardo trasformata in bisca «gestita – ricorda – da Antonio Iero e Pietro Toscano», in cui sotto Natale giocavano, gomito a gomito, uomini delle `ndrine e rampolli della Reggio bene. (0050)