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Processo Meta, in aula il re dei videopoker

REGGIO CALABRIA In aula arriva in sedia a rotelle, scortato dalla moglie che lo accompagna fino al banco dei testimoni, sul quale si appoggia con tutto il peso dei suoi settantaquattro anni segnati d…

Pubblicato il: 12/07/2013 – 15:59
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Processo Meta, in aula il re dei videopoker

REGGIO CALABRIA In aula arriva in sedia a rotelle, scortato dalla moglie che lo accompagna fino al banco dei testimoni, sul quale si appoggia con tutto il peso dei suoi settantaquattro anni segnati dagli acciacchi che gli hanno consentito la detenzione domiciliare. Ma quando Gioacchino Campolo, condannato a 16 anni di reclusione per estorsione aggravata dal metodo mafioso, inizia a parlare non ha perso nulla dell’arroganza con cui, fino a qualche anno fa, si presentava come il “re dei videopoker”. Proprietario di uno sterminato patrimonio immobiliare – almeno fino a quando la magistratura non ci ha messo i sigilli, ritenendolo accumulato con capitali di provenienza illecita – è stato chiamato come teste a discarico dall’avvocato Mazzetti, difensore di Antonio Crisalli, proprietario della nota discoteca Limoneto e volto noto dell’imprenditoria reggina, su cui pendono accuse di connivenza con i clan. A far incrociare le strade di quelli che fino a qualche anno fa erano due arcinoti rappresentanti della cosiddetta “Reggio bene” è stata l’asta seguita al fallimento della società che Crisalli aveva con il cognato Franco Vittorio Siracusa. Per sanare i debiti della naufragata società, in vendita sono finiti terreni e immobili, ma soprattutto un attico sul corso Garibaldi che avrebbe fatto gola al “re dei videopoker”. Un interessamento che Crisalli avrebbe fatto di tutto per scongiurare, arrivando persino a chiedere l’intervento del boss Cosimo Alvaro di Sinopoli per evitare la partecipazione di Campolo all’asta. Tutte circostanze che il “re dei videopoker” nega rotondamente. «A quell’asta avevo mandato l’avvocato, non ricordo se De Stefano o Mimmo Canale, ma quando mi ha riferito che partecipava molta gente e che la prima era stata sospesa, alla seconda non ci siamo presentati», dice Campolo, rispondendo alle domande dell’avvocato Mazzetti. «C’era un appartamento sul corso Garibaldi che mi interessava, poi il prezzo è salito troppo e ho rinunciato». Una decisione che avrebbe preso in autonomia, così come in autonomia, solo leggendo il giornale e senza mai visitare l’immobile – afferma – avrebbe inizialmente deciso di concorrere con la sua società Grida per accaparrarsi quel prestigioso appartamento. Del resto, lascia intendere, per lui comprare un negozio, un magazzino, un terreno, un cinema non era un problema. E con la stessa nonchalance di chi commenta gli acquisti al supermercato, Campolo afferma «alle aste quando c’era qualcosa che mi interessava, me lo compravo. Le cose le leggevo sui giornali e non c’era indicazione di nome». Allo stesso modo, a scatola chiusa e senza sapere che le proprietà all’asta fossero quelle di Crisalli, al quale sostiene di essere legato da un antico rapporto di conoscenza, l’allora “re dei videopoker” avrebbe tentato di mettere le mani quell’appartamento nel cuore borghese di Reggio città, salvo poi rinunciarci perché «troppo caro». «Non ho mai ricevuto richieste, pressioni o minacce perché non partecipassi a quell’asta, né Crisalli mi ha mai detto che fossero immobili suoi. Se dopo averli comprati avessi saputo che erano di sua proprietà, l’avrei rimproverato per non avermi contattato direttamente, in nome del rapporto d’amicizia che ci lega». Una ricostruzione che non ha convinto per nulla il pm Giuseppe Lombardo, per il quale è altamente improbabile non solo che un imprenditore di lungo corso come Campolo partecipi ad un’asta senza aver neanche visionato il bene a cui ambisce, ma soprattutto che un uomo dallo sterminato patrimonio immobiliare – del valore, ricorda il pm, stimato per difetto in 31 milioni di euro – rinunci a un affare perché «troppo oneroso». Un punto su cui a lungo si è concentrato il controesame del sostituto della Dda reggina, deciso a farsi spiegare da Campolo – possibilmente in modo plausibile – come avesse fatto a reputare troppo costoso un immobile che sostiene di non aver mai visto, dunque a rinunciare a un affare che in tanti – e in primis proprio il diretto interessato, Antonio Crisalli, che avrebbe tentato in tutti i modi di scongiurare tale ipotesi – già vedevano saldamente in mano al “re dei videopoker”. Ma nonostante le decine di domande sul punto, Campolo rimane fermo sulla sua versione di lungimirante imprenditore «con alle spalle 54 anni di attività», che non ha alcuna difficoltà a riconoscere un affare, ma neanche a rinunciarci quando diventa troppo oneroso. Con buona pace delle risultanze investigative, che di quell’asta drogata suggeriscono tutt’altra interpretazione. (0090)

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