Minacce per il testimone di giustizia Caminiti
REGGIO CALABRIA A meno di 48 ore dalla ricezione di una busta esplosiva, c’è una nuova minaccia per il testimone di giustizia Gaetano Franco Caminiti. «Questa mattina, attorno alle 11 il postino mi h…

REGGIO CALABRIA A meno di 48 ore dalla ricezione di una busta esplosiva, c’è una nuova minaccia per il testimone di giustizia Gaetano Franco Caminiti. «Questa mattina, attorno alle 11 il postino mi ha consegnato una busta gialla, più piccola di quella che avevo ricevuto due giorni fa. Mi è bastato vedere il mittente per insospettirmi, c’era scritto Questura. Nel timore che fosse un’altra busta esplosiva l’ho appoggiata con delicatezza su una mensola e ho avvertito subito polizia e carabinieri». Una preoccupazione che anche le forze dell’ordine sembrano aver condiviso. Nel giro di pochi minuti, riferisce Caminiti «quattordici, sedici uomini si sono presentati di fronte al mio negozio, con loro c’erano già anche gli artificieri». Ma – almeno per questa volta – il loro intervento non si è reso necessario. La busta non conteneva ordigni – come quella ricevuta dall’imprenditore in precedenza – ma una lettera di minacce. «Non ho avuto modo di leggere cosa ci fosse scritto, la missiva è stata subito sequestrata – racconta Caminiti – ma gli agenti mi hanno detto che era la prosecuzione di quella ricevuta in precedenza». Un particolare – soprattutto – sembra aver inquietato tanto gli investigatori, come l’imprenditore destinatario della missiva: il riferimento all’autovettura della nuora dell’uomo, rubata e poi ritrovata qualche settimana fa. «Dicono che il ritrovamento è stato un errore. Anche il furto doveva essere un messaggio per me e per i miei familiari». Un segnale d’allarme molto chiaro: chi minaccia Caminiti è vicino, molto vicino, conosce lui e il suo nucleo familiare nei dettagli, sembra sapere come e dove colpire. E in passato, lo hanno già fatto. Nel 2000, due killer sono scappati prima di tentare di colpirlo, nel 2011 invece ci sono andati molto molto più vicino. Il 12 febbraio, verso le 18.30, una moto ha affiancato la sua Smart mentre percorreva la Statale 106 di ritorno da Reggio. Caminiti ha avuto solo il tempo di vedere due uomini con il volto coperto dai caschi, prima che gli scaricassero addosso cinque, sei colpi di pistola. Uno lo ha ferito al braccio, gli altri sono stati respinti dal montante d’acciaio della Smart. Allo stato, le indagini sugli autori dei due attentati sono ad un punto fermo, anche se chiaro appare il movente: Caminiti è un obiettivo perché è uno dei pochi imprenditori calabresi ad aver denunciato le pressioni e le minacce subite dai clan. Dal 1993, anno in cui ha iniziato a lavorare come titolare di un punto Snai a Pellaro, ha denunciato oltre una quarantina di episodi tra incendi, minacce, atti vandalici, estorsioni, attentati e lettere minatorie. Qualche mese fa, ha visto condannare in primo grado i suoi aguzzini al termine del procedimento “Azzardo”, scaturito proprio dalle sue denunce. Denunce che hanno convinto tanto il pm Stefano Musolino, che ha istruito l`inchiesta, tanto il Tribunale collegiale presieduto da Olga Tarzia, che ha comminato a Vincenzo Nettuno, Gennaro Gennarini e Terenzio Minniti sei anni di reclusione, più cinquemila euro di risarcimento. I tre avevano tentato di imporre all`imprenditore un software espressamente vietato dallo Stato e dalla Snai, di cui la sala giochi di Caminiti è centro convenzionato, che l’imprenditore ha rifiutato. Ma dopo quella condanna – denuncia oggi – è rimasto solo. Costretto quattro mesi fa a rinunciare alla scorta per incomprensioni e screzi con i carabinieri che gli erano stati assegnati, dalla Prefettura – afferma – ha ricevuto solo vaghe rassicurazioni e un blando servizio di tutela. «È una situazione insostenibile, soprattutto alla luce delle ultime minacce ricevute», sbotta l’imprenditore. «Ho chiesto ai miei avvocati di andare al più presto in Procura per verificare come stiano le cose, ma soprattutto per chiedere un incontro con il Procuratore capo, Federico Cafiero De Raho. A lui che tante volte ha invitato a denunciare, vorrei esporre personalmente la mia situazione». È amareggiato, deluso e spaventato, Gaetano Caminiti, per tutti Franco. Si sente abbandonato, lasciato solo a fronteggiare una situazione che sente molto più grande di lui. «Se fossi stato un politico, sarebbero già state fatte manifestazioni e fiaccolate in mio sostegno. Ma io, come tutti gli altri testimoni di giustizia – Salvatore D’Amico, Filippo Cogliandro – non contiamo nulla, siamo l’ultima ruota del carro». (0030)