Buco ai conti di Reggio, Naccari: circa 420 milioni
REGGIO CALABRIA A quanto ammonta il buco di bilancio che volente o nolente la città di Reggio Calabria dovrà sanare? Quanti sono e quanto dureranno i sacrifici che la città sarà chiamata a fare per r…

REGGIO CALABRIA A quanto ammonta il buco di bilancio che volente o nolente la città di Reggio Calabria dovrà sanare? Quanti sono e quanto dureranno i sacrifici che la città sarà chiamata a fare per rimettere in sesto le casse di Palazzo San Giorgio? Ma soprattutto, la città è in grado di sopravvivere a un ultratrentennale piano di lacrime e sangue? Sono queste le domande che “P4Change”, l’associazione dei renziani reggini guidata da Demetrio Naccari Carlizzi, ha voluto rivolgere alla città per iniziare una riflessione «a partire da dati concreti – ha detto in apertura dell’iniziativa il suo patron – perché in questa città per troppo tempo si è ballato con i numeri». E sotto quel palazzo San Giorgio, sfregiato dall’onta dello scioglimento per contiguità mafiose e dall’ottobre scorso guidato da una terna commissariale, Naccari fa un’analisi impietosa – ma reale – della situazione debitoria dell’Ente, variamente quantificata dai più diversi soggetti: 170 milioni di euro per gli ispettori del Ministero, 118 per la Giunta Arena, 135 per i commissari.
LA REALE ENTITA` DEL BUCO
Ma nessuna di queste stime – purtroppo – per Naccari si avvicina alla realtà. «Non risultano elencati e riportati i debiti che il Comune di Reggio Calabria ha nei confronti della Regione Calabria per la fornitura dell’idropotabile per oltre 89 milioni di euro e per i rifiuti per oltre 24 milioni di euro. Tali debiti sono scritti nei bilanci della Regione e persino la stampa li ha più volte pubblicati. Per capire l’impatto del debito ancora non calcolato, per i rifiuti ogni reggino, pur avendo ricevuto e pagato quanto richiesto, si vedrà caricato sulle spalle ulteriori 133,56 euro. Ma di questa partita non c’è traccia nei piani di rientro». E non è finita. All’appello mancano anche – aggiunge Naccari – almeno 35 milioni del decreto Reggio circa utilizzati per altri scopi, così come i 27 milioni di buco di bilancio dell’Atam – società al 100% di proprietà del Comune – per non parlare delle enormi riserve espresse dalle imprese appaltatrici dei lavori del Comune. Si tratta delle ditte che hanno aperto i cantieri delle tante incompiute che fanno bella mostra di sé in città e sono state costrette ad abbandonarli perché mai pagate, «spesso – sottolinea Naccari – a causa della distrazione dei fondi vincolati». Ma i soldi per quanto già fatto quelle imprese li pretendono e li pretenderanno. «Solo le ditte Lafrate (Progetto integrato) e Bentini (palazzo di giustizia) hanno espresso riserve per oltre 50 milioni di euro. Cosa scopriremo per la miriade di altri lavori fermi? Per il Parco lineare, per le aste del Calopinace, per il lungomare di Gallico per fare solo qualche esempio? Si ritiene che la partita debitoria stia nell’ordine dei 100 milioni di euro».
Una cifra enorme che si va a sommare non solo alla voragine individuata dai commissari, ma anche ai debiti che non sono stati messi a bilancio dalla triade. Per Naccari una stima realistica potrebbe aggirarsi attorno «a quasi 420 milioni di euro. Che non troviamo ancora nei piani di rientro». La promessa di nuove tasse e nuovi sacrifici che in futuro saranno richiesti ai cittadini – secondo l’esponente Pd – che si aggiungeranno a quelli già imposti ai reggini per finanziare quegli ottimistici 135 milioni di disavanzo certificato. Una voragine che i commissari progettano di colmare aderendo alla procedura di predissesto e utilizzando i fondi offerti dalla Cassa depositi e prestiti. «Ciò ha significato richiedere prestiti per oltre 263 milioni di euro, superiori al disavanzo certificato ma lontani dai 420 milioni dell’analisi condotta». Prestiti da ripagare, con tanto di interessi – qualora la Corte dei conti avallasse la proposta – con due piani di rientro ,il primo di durata decennale e l’altro di durata trentennale. «Ciò significa che per i primi dieci anni l’ente dovrà corrispondere una rata annuale di oltre 18 milioni e di 10 milioni l’anno per i successivi venti – spiega Naccari –. Ogni cittadino dovrà pagare ogni anno 161 euro in più di tasse per riuscire a pagare il debito precedente . Senza contare le partite non contabilizzate. Per una famiglia di 4 persone significa oltre 644 euro in più l’anno. In tutto (debiti ulteriori esclusi) è pari a circa 22 mila euro nei trenta anni del piano di rientro, l’equivalente di un’autovettura offerta sull’altare del modello del Comune illimitatamente irresponsabile”.
Uno schiaffo per le famiglie che non solo saranno costrette a pagare più tasse, ma anche a confrontarsi con un taglio verticale dei servizi. Dalle mense scolastiche ai trasporti, dall’assistenza agli asili, passando per gli investimenti nella cultura o nel sociale, tutto – prevede Naccari, dati alla mano – sarà ridotto al lumicino. «Se già nel 2012, anno di crisi verticale, per la città erano previsti poco più di 16.200.000 da destinare ai servizi oggi in affanno, pensate cosa potrà succedere quando andrà a regime il piano di rientro, quando non ci saranno più di 8,5 milioni destinati a questo capitolo di spesa – tuona l’esponente Pd – avremo difficoltà anche a sostituire una mattonella». «Qui – aggiunge – abbiamo la distorsione del principio dei pasti gratis: qualcuno ha mangiato e tutti siamo costretti a pagare. Ma il punto è capire quanto la città sia in condizioni di sostenere questo piano che è una promessa di recessione, perché significa zero investimenti». Una domanda che confrontando il piano lacrime e sangue imposto con i dati di tasso di occupazione, reddito e livello di vita, diventa quasi retorica.
LA CITTA` DOLENTE
E la risposta dalla platea – a dire il vero, nutrita – è unanime: Reggio non è nelle condizioni di affrontare un piano di rientro elaborato in questi termini, pena la morte stessa della città. Ed è la Reggio dolente quella che prende la parola nelle ore successive. Ci sono i ragazzi partiti per formarsi e tornati con l’idea di mettere al servizio della città una professionalità nuova, ma che oggi a Reggio non trovano spazi per spenderla; ci sono i precari di sempre, in attesa di una stabilizzazione che non arriva; ci sono semplici cittadini, chiamati a confrontarsi con una città che non sembra in grado di offrire condizioni di vita dignitose; ci sono i sindacalisti, che hanno lavorato a una piattaforma comune, firmata da tutti i rappresentanti della Triplice, per il rilancio dell’occupazione e per un nuovo piano industriale a partire da quelle officine Omeca “che dovrebbero essere la Fiat di Reggio Calabria, ma le cui vertenze rimangono confinate all’esterno del dibattito cittadino”, sottolinea uno dei rappresentati Uilm presenti in platea. Un rosario di denunce, che lascia spazio anche alle proposte, come quella del sindacalista Pasquale Laganà, che per le società miste – spina nel fianco dell’amministrazione, due delle quali sciolte o in via di scioglimento per infiltrazione mafiosa dopo aver drenato per anni fondi comunali – propone «un’unica governance e un’unica società di natura pubblica, non solo per arginare le infiltrazioni mafiose, ma anche per garantire che l’interesse primario sia la città e non l’utile di impresa. E lo stesso valga per sanità e trasporti». O ancora chi propone a modello quanto successo nel piccolo centro di Zagarise, nel catanzarese, dove un parco avventura è diventato motore di sviluppo per l’intera comunità. Ma soprattutto, quella che sembra arrivare dalla platea è una richiesta di cambiamento radicale rispetto al passato, quando la città «è stata affidata a una classe politica senza progetto e senza visione», più attenta alle clientele che alla costruzione di un progetto di sviluppo a lungo termine.
DI CHI SAREBBE LA COLPA?
Sollecitazioni, inviti e quesiti cui Naccari e Nino De Gaetano – il consigliere regionale che dopo essere approdato al Pd da Rifondazione, oggi a quanto pare molto vicino al massimo esponente d
ei renziani in città – provano a dare una risposta, a partire da una considerazione di base: se è vero che i commissari non sono responsabili delle condizioni disastrose in cui versa la città, «di certo non stanno lavorando bene» e nessun rilancio di Reggio sarà possibile senza una modificazione del piano di rientro che lasci spazio agli investimenti e ad un progetto politico alternativo a quello che ha ispirato le precedenti amministrazioni. «Reggio – dice De Gaetano – si sta spopolando, i nostri giovani vanno via perché qui non vedono futuro. Questa sta diventando una città di anziani e una città di anziani non ha futuro». Nonostante la campagna elettorale sia lontana, gli esponenti Pd sembrano già abbozzare un programma che va da un nuovo piano di opere pubbliche per rilanciare l’economia cittadina – creare «uno shock occupazionale» per dirla con le parole di De Gaetano – e attrarre investimenti, alla messa a regime delle risorse, da quelle naturali come le montagne, le coste o il bergamotto a quelle sottratte alla `ndrangheta, che il territorio offre, dall’individuazione della cultura come volano di sviluppo alla rimodulazione del carico fiscale, ma anche ad un piano di gestione dei servizi affidato ad un’unica governance, «di che natura poi lo vedremo». Ma soprattutto – promettono entrambi – un progetto di città alternativo a quello del “Modello reggio” oggi trasferito in Regione, ispirato più alla spesa mirata alla gestione delle clientele che alla costruzione di una prospettiva per la città. «Oggi la Regione rischia di perdere centinaia di miliardi di fondi europei perché non ha fatto i progetti per utilizzarli», sottolinea Naccari, che si lascia scappare «questo succede perché sono ignoranti, non hanno le competenze né le capacità per mettere a frutto neanche quello che hanno». Parole di fuoco che forse hanno fatto fischiare le orecchie a più di un esponente di centrodestra, ma non sembrano aver imbarazzato quelli che ieri si sono avvicinanti in piazza ad ascoltare – o controllare – il dibattito. Un’iniziativa promette De Gaetano che a breve «speriamo di ripetere anche nelle periferie, che devono essere integrate nel progetto di questa città, per realizzare il sogno della città policentrica di Italo Falcomatà che negli ultimi dieci anni è stato abbandonato, insieme a territori lasciati all’incuria e al degrado». (0090)