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Clan a Condofuri, pene confermate in Appello

È con una conferma rotonda dell’impianto accusatorio che la Corte d’appello di Reggio Calabria ha chiuso oggi il procedimento d’appello per lo stralcio in abbreviato di Konta Korion, l’indagine coord…

Pubblicato il: 21/09/2013 – 15:08
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Clan a Condofuri, pene confermate in Appello

È con una conferma rotonda dell’impianto accusatorio che la Corte d’appello di Reggio Calabria ha chiuso oggi il procedimento d’appello per lo stralcio in abbreviato di Konta Korion, l’indagine coordinata dal pm Antonio De Bernardo, che per prima ha svelato l’esistenza di un locale di `ndrangheta a Condofuri, determinando -nell’autunno 2010 lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose.
Fatta eccezione per l’assoluzione di Francesco e Giuseppe Frisina, in primo grado condannate a sei mesi con pena sospesa, e per alcune lievi rideterminazioni della pena, la corte presieduta da Iside Russo – con Ornella Pastore e Carmelo Blatti a latere – ha dato per buono l’impianto che nell’ottobre 2011 era già passato al vaglio del gup Tommasina Cotroneo. Una sentenza che non è piaciuta ai familiari presenti in aula, uno dei quali è stato colto da malore durante la lettura della sentenza, mentre il caos scaturito ha reso necessario l’intervento delle volanti. Forse i familiari dei detenuti attendevano un esito diverso, ma nonostante le rideterminazioni di pena decise dalla Corte, le condanne rimangono pesanti. Nel caso di Antonio e Pietro Casili, anche più di quella di primo grado. I due, condannati a sei anni e sei mesi in prima istanza, in appello sono stati condannati a sei anni e otto mesi.
Lievi riduzioni arrivano invece  per Francesco Bruzzese, condannato a 8 anni, a fronte dei dieci rimediati in primo grado, e Concetto Bruno Candito, chepassa da nove anni e quattro mesi a otto anni di reclusione. Per Carmelo Manti, condannato a otto anni in primo grado, la Corte ha deciso una pena di sei anni e otto mesi di reclusione, mentre una lieve riduzione di pena arriva anche per Domenico Foti, condannato a sette anni e quattro mesi a fronte de otto anni e otto mesi rimediati in primo grado, e per Maurizio Iaria, che dietro le sbarre ci dovrà passare sette anni e quattro mesi, solo quattro mesi in meno di quanto disposto dai giudici di primo grado. Per Pasquale Caridi, condannato in primo grado a due anni e quattro mesi, i giudici della Corte hanno disposto invece una condanna a due anni con sospensione della pena.
Rimane confermata invece la condanna a sette anni per Giorgio Macrì,  Lorenzo Fascì e Daniele Filippo Poerio e a sei anni per Antonino Altomonte, Carmelo Modaffari (classe 1984), Raffaele Nucera, Francesco Ollio, Filippo Antonio Poerio, Pietro Poerio, Leo Romeo, Vincenzo Stilo e Giuseppe Vitale.
Il procedimento conclusosi oggi in primo grado, è scaturito da un’indagine che ha permesso di scoprire che non solo i Rodà – Casile avevano per anni condizionato il  Comune di Condofuri, ma anche che avevano tentato il salto di qualità eleggendo un proprio uomo con l’obiettivo dichiarato di farlo arrivare nella stanza dei bottoni. Una strategia mirata a controllare l’assessorato ai Lavori pubblici, divenuto per i clan crocevia di affari e appalti pilotati. Un progetto riuscito, almeno fino all’intervento della magistratura, che dall’incendio di un escavatore di un’impresa di movimento terra, verificatosi nel novembre del 2004, è riuscita prima a dare un nome e un volto al comitato d’affari – espressione diretta della consorteria mafiosa – che gestiva in regime di quasi totale monopolio l’aggiudicazione degli appalti pubblici della zona, quindi a fotografare il clan, in tutte le sue articolazioni.
Alla sbarra sono finiti infatti personaggi della “società maggiore” e della “società minore” della locale di Condofuri, rappresentate plasticamente e descritte in dettaglio da centinaia di intercettazioni che hanno consentito di ricostruire anche le alleanze e i rapporti esterni dei principali personaggi della consorteria. Un filone investigativo fortunato e che ancora non sembra essersi esaurito: qualche mese fa  l’operazione El Dorado ha colpito ulteriormente l’anima della locale di Condofuri, svelando un giro di traffici e riciclaggio che i principali esponenti del clan erano in grazio di gestire tra la Calabria e Viterbo. (0030)

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