Processo Rappoccio, Caccamo: mi chiesero di votare il consigliere
REGGIO CALABRIA Mancano pochi minuti alle nove di sera quando il presidente Andrea Esposito chiama il cosiddetto processo Rappoccio, che vede l’ex consigliere regionale imputato per corruzione eletto…

REGGIO CALABRIA Mancano pochi minuti alle nove di sera quando il presidente Andrea Esposito chiama il cosiddetto processo Rappoccio, che vede l’ex consigliere regionale imputato per corruzione elettorale, associazione a delinquere, truffa e peculato. E sono tanti quelli che entrano in aula convinti che l’udienza durerà solo il tempo necessario al presidente per annunciare la decisione di astenersi dal continuare a guidare il Collegio, dopo le feroci polemiche estive scaturite dalla decisione del Tribunale di scarcerare Antonio Rappoccio, consentendogli di riacquistare – per breve tempo – lo scranno di consigliere regionale. Polemiche tracimate in un aperto conflitto con l’avvocato Aurelio Chizzoniti – grande accusatore di Rappoccio, nonché parte civile nel processo – che non più tardi di ieri ha presentato un’istanza di ricusazione del collegio, adducendo motivazioni pesantissime proprio a carico del giudice Esposito. Tredici pagine al vetriolo, che all’avvocato servono per sottolineare che «a sommesso e deferente avviso dell’esponente non sembrano rispettate le garanzie apprestate per il modello giurisdizionale e, quindi, la posizione di terzietà dei dottori Esposito, Varrecchione e Fiorentini, singolarmente e collegialmente considerati, travolti dalla scandalosa escarcerazione, i quali sicuramente non hanno offerto un esempio da imitare sul terreno dell’imparzialità della giurisdizione, avendo posto a base della stessa una surreale motivazione palesemente sottratta alla realtà degli atti processuali ed alla conoscenza dei fatti. Ragion per cui la sorprendente restituzione in libertà di Rappoccio potrebbe essere eloquentemente sintomatica ai fini della decisione finale del processo, il cui governo alimenta concrete perplessità; accreditando dubbi sull’equidistanza dei giudicanti con particolare riferimento al presidente dottor Esposito, autorevole co-autore di un provvedimento pregiudicante qualsiasi pur minimo tasso di sostanziale affidabilità».
Ma del trambusto – quanto meno mediatico – che le pesantissime accuse mosse da Chizzoniti hanno provocato, il presidente Esposito non sembra curarsi. Come da programma, apre l’udienza informando le parti della modifica della composizione del Collegio – Luigi Varrecchione ha sostituito il giudice Catalano nella terna – e chiede il consenso all’utilizzazione delle prove dichiarative già assunte in precedenza. Un’istanza che non trova unanime consenso nelle parti. Per i legali di Chizzoniti, della Regione Calabria e anche del principale imputato, difeso dall’avvocato Giacomo Iaria, di fronte al nuovo Collegio le prove dovranno nuovamente prendere forma attraverso la deposizione dei testi di accusa e difesa. Un compito in fondo non improbo. Allo stato, solo in due hanno deposto nel corso del procedimento. Ma se per il brigadiere Carmelo Repaci, chiamato questa sera a confermare quanto in precedenza dichiarato, la pratica si è risolta nel giro di pochi minuti, più lunga, complessa e combattuta si prospetta l’escussione dell’avvocato Chizzoniti, i cui esposti hanno spinto la Procura ad approfondire il sistema nascosto dietro le tre presunte cooperative fantasma – Alicante, Iride solare e Sud energia – secondo l’accusa costituite esclusivamente per alimentare una macchina elettorale basata sull’endemica e profonda fame di lavoro presente fra giovani e meno giovani di Reggio Calabria, cui Rappoccio avrebbe promesso un impiego in cambio del voto.
E proprio una delle vittime di questo sistema, Francesco Caccamo – oggi parte lesa nel procedimento a carico di Rappoccio – è stato chiamato oggi sul banco dei testimoni, dopo l’audizione lampo del brigadiere Repaci. «Ho conosciuto la cooperativa Alicante quando ho fatto la domandina e mi hanno chiamato per il concorso – esordisce Caccamo – davano un posto di lavoro». Prima lui, poi la moglie – racconta Caccamo – sarebbero stati allettati dal prospettato impiego «in una fabbrica di pannelli solari a Campo Calabro». Un’ipotesi allettante anche per chi come lui un impiego già lo aveva, ma «dobbiamo sempre cercare di migliorare», spiega al pm che lo interroga. E per farlo – sottolinea – «abbiamo anche pagato la quota per partecipare al concorso».
Un dazio necessario per partecipare alle selezioni scritte – un quiz «sottoposto da una ragazza, non c’era commissione» ricorda Caccamo – sulla carta prodromiche a prove orali, che in seguito mai saranno convocate. Ma i quiz non sarebbero serviti semplicemente a selezionare gli eventuali aspiranti che andavano a bussare alla sede della cooperativa. «Ci hanno convocati per i quiz in un ufficio a via san Francesco da Paola», ricorda ancora l’uomo che almeno due volte, in quella sede, afferma di aver visto il consigliere regionale. «Il giorno dei quiz – continua a spiegare – mi hanno chiesto se per caso avevo qualche voto disponibile e io dissi di sì perché non mi ero impegnato con nessuno e non ho nessuna preferenza in politica. Mi diedero un foglio in cui dovevo indicare i nomi degli elettori potenzialmente disponibili e la sezione in cui votavano. Mi diedero anche dei volantini, dei fac simile delle schede elettorali con l’indicazione di voto per Rappoccio». Fogli e documenti tutti finiti agli atti del processo, insieme alle parole di Caccamo che incalzato dagli avvocati , chiarisce «politicamente non so cosa sostenesse Rappoccio. L’ho votato perché mi ha chiesto se avessi voti disponibili e io gliel’ho dato». Un’affermazione che sembra confermare le ipotesi della Procura, che dietro le presunte cooperative fantasma Alicante, Iride Solare e SudEnergia riconducibili a Rappoccio, ha visto solo una personalissima macchina elettorale basata sull’endemica e profonda fame di lavoro presente fra giovani e meno giovani di Reggio Calabria. (0090)