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Riparte da zero il processo contro "il re dei videopoker"

REGGIO CALABRIA Riparte da zero il processo principale contro Gioacchino Campolo, l’autoproclamato “re dei videopoker” arrestato nel gennaio 2009 per estorsione aggravata – e per questo condannato a…

Pubblicato il: 26/09/2013 – 19:30
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Riparte da zero il processo contro "il re dei videopoker"

REGGIO CALABRIA Riparte da zero il processo principale contro Gioacchino Campolo, l’autoproclamato “re dei videopoker” arrestato nel gennaio 2009 per estorsione aggravata – e per questo condannato a sedici anni in Appello – quindi rinviato a giudizio per associazione per delinquere, riciclaggio, frode fiscale, intestazione fittizia di beni e falso. Ed è proprio questo il filone principale del procedimento oggi destinato a ripartire da zero. Il legale di Campolo, l’avvocato Giovanni De Stefano, non ha prestato il proprio consenso all’utilizzazione delle prove dichiarative già assunte, resa necessaria dalla modifica nella composizione del collegio giudicante, seguita alla nomina del giudice Olga Tarzia alla presidenza della sezione gip-gup. Di fronte al Tribunale, da oggi presieduto dal giudice Natina Pratticò, dovrà dunque svolgersi da capo tutta l’attività istruttoria di un processo che promette di raccontare una parte non indifferente della storia di quella borghesia cittadina che nelle `ndrine ha cercato soci e partner.

CONFISCA RECORD
Considerato imprenditore “a disposizione” di diversi clan cittadini, Gioacchino Campolo è balzato agli onori delle cronache quando la Guardia di Finanza si è presentata per mettere i sigilli al suo patrimonio. Un sequestro – poi diventato confisca – del valore di oltre 300 milioni di euro. In mano allo Stato sono passati il patrimonio aziendale e i relativi beni di 4 imprese, 256 immobili – 74 abitazioni, 126 locali commerciali, 56 terreni – sparsi tra Reggio Calabria e provincia, Roma, Milano, Taormina e Parigi, 3 veicoli commerciali, 6 autovetture di lusso, 5 motocicli, 27 rapporti bancari, postali, assicurativi, azioni, individuati in Italia e in territorio francese,  ma soprattutto più di cento quadri tra i quali molti di rilevantissimo pregio artistico, oggi esposti in una sezione del museo cittadino riaperta allo scopo.

IMPRENDITORE A DISPOSIZIONE DEI CLAN
Sebbene Campolo debba la sua “fama” al clamore provocato del sequestro, anche prima di conquistare le copertine di giornali e periodici era persona nota. O almeno lo era per inquirenti e investigatori che per anni hanno seguito l’evoluzione dei suoi rapporti con le cosche cittadine. «Dopo la pax mafiosa – si legge nel provvedimento di confisca che riassume anni e anni di indagini e procedimenti a carico del noto imprenditore – si era avvicinato anche alle famiglie Libri/Zindato e manteneva rapporti con esponenti della cosca Condello-Serraino-lmertl-Rosmini e Nicolò, in specie il capo locale di Gallico, Iannò Paolo, al quale ,aveva attrezzato un circolo con giochi legali e illegali prima del’95». Per i giudici, quello fra Campolo e i clan non è un rapporto di «soggezione subordinazione di Campolo – imprenditore ai vari reggenti delle cosche dominanti sul territorio per la mera sopravvivenza della ditta Are, ma di un evidente rapporto paritario finalizzato alla pianificazione e conclusione degli affari e guadagni illeciti». Ma – chiariscono le indagini a carico dell’imprenditore – sebbene fosse in ottimi rapporti con tutti,il clan che su di lui ha da sempre steso un’ala protettrice sarebbe quello dei De Stefano.

LE PAROLE DEI COLLABORATORI
A confermare gli elementi sulla contiguità di Campolo alla potente cosca di Archi che gli investigatori hanno collezionato nel corso di una lunga indagine, sono le dichiarazioni di  quattro collaboratori di giustizia Paolo Iannò, killer della cosca Condello, Antonino Fiume e Giovanni Battista Fracapane, killer ed esponenti di spicco del clan De Stefano e più recentemente  l’ex collaboratore Nino Lo Giudice. «Lo sapevo che Campolo gode di una certa “protettura” da molte famiglie e che aveva una “amicizia” diretta o indiretta, con l’avvocato Giorgio De Stefano. Anche se il “responsabile” su di lui era Orazio», dirà il pentito Nino Fiume ai magistrati della Dda di Reggio Calabria. Sarà quest’ultimo – come riferito, sottolineano i magistrati, «in modo estremamente chiaro e lineare» dal pentito Fracapane – a bloccare Mario Audino e  i suoi propositi omicidi  ai danni di Campolo, ma anche ad ordinare che fosse la sua Are e non la ditta dei Lavilla, come voluto invece dai Tegano, a ricoprire una posizione di vertice nel mercato degli apparecchi da gioco in Reggio Calabria. E di certo non per mera generosità  o per caso: quello di Campolo con i De Stefano, e soprattutto con l’avvocato Giorgio, è un rapporto solido e di lunga data. (0090)

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