Il 5 novembre è stato presentato ufficialmente, nell’aula Koch di Palazzo Madama, il Dizionario delle mafie, edito da Curcio editore, alla presenza di esponenti della politica, delle istituzioni, del giornalismo.
La cerimonia è stata l’occasione per un breve ma interessante dibattito sull’attuale situazione dello “stato dell’arte”, vale a dire sull’azione di contrasto alle mafie ai nostri giorni.
Nonostante l’autorevolezza degli interventi, non nascondo la delusione. Si è ancora una volta ripetuta la ormai tradizionale combinazione tra interventi che rammentavano i grandi passi in avanti compiuti negli ultimi trent’anni nel campo della legislazione, delle strutture investigative e giudiziarie, della cooperazione internazionale, delle competenze professionali, delle conoscenze assai più approfondite dei fenomeni mafiosi italiani e internazionali, e interventi che, muovendo dalla lettura dei grafici inseriti nel cd allegato al volume, mettevano in evidenza come la sovrapposizione dei grafici espone, visivamente, la totale copertura del territorio nazionale da parte delle varie e numerose tipologie di mafie presenti nel nostro Paese.
Sarebbe stato necessario un intervento che desse una risposta unitaria e plausibile al contrasto apparentemente insanabile tra le due posizioni, perché se è vero che i progressi ricordati dal nuovo procuratore nazionale antimafia sono indubitabili, è altrettanto realistica la situazione di drammatica occupazione del nostro territorio, praticamente senza spazi “free mafia”, evidenziata dalla fredda, impietosa, oggettività dei grafici.
La risposta non c’è stata e il paradosso è passato inosservato, così lasciando nel vago e nell’indeterminato il destino futuro del Paese sotto la pressione delle mafie che lo occupano. Aggiungo per inciso che quanto più si tende ad evidenziare la qualità e la quantità dei “successi” nell’attività di contrasto realizzata in questi decenni, (ripeto, a scanso di equivoci, indubitabili), tanto più se ne evidenzia, involontariamente, l’inadeguatezza, anzi, a voler essere cinici, il fallimento. Dunque, resta assicurato davanti a noi, e per lungo tempo, un interminabile, periodo di contrasto Stato-mafia, con molti risultati parziali, ma nessuno definitivo.
Ricordo a questo proposito l’ultimo discorso pronunciato dall’ex presidente della Repubblica, Azeglio Ciampi, prima della scadenza del suo mandato. Si trovava in Sicilia e le sue parole conclusive furono che non bastava più fare azione di “contrasto” alle mafie, ma occorreva, una volta per tutte, vincere; parole sacrosante, ma senza seguito, non si sa bene se per difetto di analisi, di proposte, di volontà politica. Sono dell’idea che concorrano tutti e tre questi elementi, convinzione rafforzata dallo svolgimento della presentazione di cui parlavo all’inizio.
Certo, vi saranno altre occasioni per tornare sull’argomento, ma quella del 5 novembre era assai utile, anche per la presenza del nuovo presidente della Commissione parlamentare antimafia.
Occorreva, almeno, porre le basi, esprimere il proposito di procedere ad un`approfondita analisi della situazione attuale delle mafie italiane, ben diversa da quella che la Dna, le Dda, la Dia, si trovarono ad affrontare nel 1993, ma nulla di tutto questo si è sinora intravisto. Anche la saggistica indugia su ricostruzioni descrittive, con pochi, isolati, tentativi di dare un’interpretazione attendibile all’attualità. Gli strumenti sono ancora quelli iniziali: l’articolo 416 bis, nella fase delle indagini preliminari, l’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario per i detenuti più pericolosi, sequestro e confisca introdotti dalla legge Rognoni-La Torre del 1982, anche se più volte aggiornata e perfezionata. La politica tace. È troppo occupata a discutere di se stessa, dei suoi problemi interni, dei personalismi dei suoi leader, sempre più stucchevoli e narcisisti. Sulla mafia, non si sente una proposta, una riflessione seria, coraggiosa, propositiva. Si può dire, senza tema di smentite, che la dimensione politica del contrasto alle mafie è puramente verbale, o meglio, verbosa, vuota, inutile.
L’intervista dell’ex sindaco di Monasterace, Maria Carmela Lanzetta, a Repubblica, è drammatica e impietosa; il partito che afferma più degli altri di volere contrastare le mafie, si limita a balbettii, promesse, a inutili manifestazioni di solidarietà, prive di contenuto e di seguito. Anche sulla riforma del reato di voto di scambio non è avvenuto nulla. È stata elaborata una proposta pasticciata, dannosa, scritta per sabotare l’intervento giudiziario non certo per renderlo più efficiente. E allora cosa resta? Dimenticavo, qualcosa si è fatto: l’ulteriore taglio alle risorse della giustizia, la riduzione progressiva dei suoi organici, la declamazione della necessità delle riforme a senso unico, quello peggiorativo s’intende. Eppure, non sarebbe difficile intervenire in materia di mafie.
Basta abbandonare le piccole riforme, i piccoli aggiustamenti, che non servono assolutamente a niente e capire che occorre cambiare strategia. Quella usata sinora si è rivelata perdente e occorre solo prenderne atto.
Propongo, sperando che qualcuno raccolga l’invito alla discussione, due rimedi, drastici, sicuramente efficaci, che hanno l’unico difetto di impegnare la politica a scelte coraggiose e impopolari. La prima proposta è la revoca della concessione gratuita e perpetua concessa dallo Stato alle mafie per l’importazione, il trasporto e la distribuzione delle sostanze stupefacenti; la seconda la disdetta del contratto di servizio tra Stato e mafie, che affida a queste ultime il monopolio dei servizi illeciti nel settore della politica, dell’economia, del mercato del lavoro nero, del traffico e smaltimento dei rifiuti.
Per fare questo lo Stato dovrebbe regolare i conti con i poteri che sostengono le mafie, con le lobby imprenditoriali, bancarie e finanziarie, con le massonerie, con i poteri occulti interni ed esterni. Altrimenti, ci dovremo accontentare di amnistia, indulto, responsabilità civile dei magistrati, e altro ancora. Mentre il contrasto conosce sempre nuovi successi… (0050)
*magistrato
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