I “ragazzi” che presero Milano
Mancano pochi minuti alla mezzanotte del 9 ottobre 1976 quando un giovane di etnia nomade, Giuseppe De Rosa, viene ucciso a colpi di revolver davanti a una nota discoteca nel centro di Milano. Una ri…

Mancano pochi minuti alla mezzanotte del 9 ottobre 1976 quando un giovane di etnia nomade, Giuseppe De Rosa, viene ucciso a colpi di revolver davanti a una nota discoteca nel centro di Milano. Una rissa finita in tragedia tra due gruppi di giovani poco più che ventenni, da una parte gli “zingari” e dall`altra i calabresi di Corsico. Questa almeno fino a oggi è stata la ricostruzione di quel fatto di sangue, il processo che ne era seguito si era chiuso con il non luogo a procedere per tutti gli indagati.
Ora però a distanza di 36 anni alcune intercettazioni ambientali hanno consentito alla Dda di Milano di mettere un punto fermo: quel delitto fu una «sorta di pietra miliare nell`affermazione della `ndrangheta di Platì a Milano». Nell`ordinanza, che ha portato all`arresto di dieci persone accusate di estorsione e spaccio di droga nel capoluogo lombardo, è svelato che l`uccisione di De Rosa non fu una scaramuccia ma un «atto necessario e indispensabile all`affermazione, come clan, del gruppo dei calabresi». Da quel corpo trucidato davanti al night “Skylab” inizia il romanzo criminale dei giovani di Platì divenuti anni dopo i boss di Milano. Rocco Papalia, Francesco Molluso, Domenico Sergi, Nino Cerra, Agostino Catanzariti e Francesco Trimboli “u surici”, nomi divenuti sinonimi del potere della `ndrangheta in Lombardia.
Una foto, scattata proprio nell`anno dell`omicidio De Rosa e allegata all`ordinanza, li ritrae seduti, cocktail in mano, in uno dei locali notturni che all`epoca andava per la maggiore, il Parco delle rose. È proprio da quel night club inizia la spirale che porterà alla morte del giovane nomade. Un amico di De Rosa, per un certo periodo aveva frequentato una giovane donna che poi lo aveva abbandonato per Nino Cerra. La sera dell`8 ottobre 1976, il ragazzo tradito incontra la sua ex nella discoteca. I due discutono fino a quando il nomade non colpisce con alcuni schiaffi la donna. Lei rientra in discoteca e va a chiedere aiuto ai suoi accompagnatori che costringono l`ex ragazzo a chiedere scusa per quanto ha osato fare. L`incidente sembra chiuso, ma non per gli amici del nomade a cui non pare giusto che il giovane si sia “piegato” a chiedere scusa. La protesta del gruppo scatena la reazione dei calabresi: i tre giovani vengono portati all`esterno e massacrati di botte. Terminato il pestaggio e tornata apparentemente la calma, due dei ragazzi picchiati si rifugiano a casa di un amico. Ma il gruppo dei calabresi non è soddisfatto. Per un`intera notte assediano l`abitazione, aspettano fino alla mattina per terminare la loro vendetta, ma nessuno lascia quell`appartamento. La sera di sabato 9 ottobre 1976, il gruppo dei nomadi decide di andare allo “Skylab” per tentare di riappacificarsi con i calabresi. È, senza dubbio, una mossa improvvida, ma necessaria. I ragazzi di Platì nelle strade di Milano si sono fatti un nome, già li chiamano il “clan dei calabresi”, gli “zingari” di via Zama sanno che le loro vite ormai sono appese a un filo.
Tutto accade in pochi minuti. Davanti alla discoteca incontrano Francesco Trimboli e Domenico Sergi. I due prendono tempo dicendo che chiariranno la questione della sera prima appena saranno raggiunti dai loro amici. Cosa che avviene poco dopo, quando, a bordo di più autovetture, sopraggiungono altri cinque o sei del gruppo. E dalle parole si passa subito ai fatti. La perizia balistica stabilirà che avevano fatto fuoco almeno 4 differenti pistole semiautomatiche: 3 calibro 7,65mm e una calibro 9mm. A terra resta il giovane De Rosa. Le indagini si concentrano subito sui calabresi, ma quando le condanne sembravano cosa fatta inizia una incredibile serie di ritrattazioni da parte dei testimoni. I giovani di Platì verranno tutti assolti.
Ora però la Procura può ricostruire quanto avvenuto in quella sera di ottobre di quasi 40 anni fa. Fu un omicidio premeditato, «non era assolutamente ammissibile – scrivono gli inquirenti – che quattro “zingari” potessero sfidare “i calabresi” o reagire alla loro protervia». Anzi nel progetto degli indagati c`era l`uccisione non del solo De Rosa ma dell`intera sua compagnia; almeno di quanti sarebbero entrati in una loro automobile che andava imbottita d`esplosivo. A rivelarlo agli investigatori è stato, suo malgrado, Agostino Catanzariti: «C`avevamo un paio di… centinaia di metri di miccia a lenta combustione… a rapida combustione; di tutto… gli ho detto io gli ficchiamo un paio di eheh… gli mettiamo fuoco: come saltano! Li facciamo marmellata!». Gli eventi, però, porteranno a una soluzione differente. È sempre Catanzariti a raccontare: «Quando è stato il fatto di quello, ch`è morto, gli ha messo la pistola all`orecchio. Quello, giustamente … (ride) si vede sparare in testa, lo ha buttato a terra … (…) s`è buttato a terra, è partito dalla testa, gli ha tolto, gli ha fatto … l`ha spaccato tutto. Gliel`ha scaricata tutta nel corpo, partendo dalla testa ad andare in basso». A sparare la raffica di colpi contro De Rosa è “Nginu”, l`appellativo di Rocco Papalia. (0080)