"Archi-Astrea", il pm: assoluzione per Giuseppe Tegano e condanna per Rechichi
REGGIO CALABRIA Assoluzione per Giuseppe Tegano, fratello dei noti boss Giovanni, Pasquale e Domenico e la conferma della condanna per l’ex direttore operativo di Multiservizi, Pino Rechichi, che ved…

REGGIO CALABRIA Assoluzione per Giuseppe Tegano, fratello dei noti boss Giovanni, Pasquale e Domenico e la conferma della condanna per l’ex direttore operativo di Multiservizi, Pino Rechichi, che vede però riqualificato il suo ruolo: sono questi gli elementi di novità rispetto al processo di primo grado, introdotti dal sostituto procuratore generale presso la corte d`Appello Ezio Arcadi, nella sua requisitoria al processo d’appello abbreviato Archi-Astrea. Rivoluzionando l’impostazione del pm Giuseppe Lombardo, che ha coordinato l’inchiesta e sostenuto l’accusa in primo grado, per Arcadi le condotte finanziarie di Rechichi all’interno della società mista non sarebbero state funzionali all’occultamento dei Tegano nella Multiservizi. Nonostante più di un pentito abbia indicato Rechichi come uomo storicamente al servizio degli arcoti, per il pd l’ex direttore operativo della partecipata avrebbe agito per mero fine personale.
Dalla pubblica accusa è arrivata inoltre una richiesta di lieve rideterminazione della pena per Pietro e Franco Labate – per il sostituto procuratore da condannare a 16 anni di reclusione a fronte dei 20 rimediati in primo grado – come per Pasquale Utano, da condannare a 8 anni in luogo degli 8 in precedenza rimediati. Tutte da confermare invece per Arcadi sono le pene comminate in prima istanza a Giorgio Benestare (20 anni), Rosario Aricò, Emilio Firriolo, Alberto Rito (10 anni) e Giovanni Zumbo, (5 anni).
L’indagine coordinata dal pm Giuseppe Lombardo ha svelato come il clan Tegano si sia per anni celato all’interno della compagine sociale della società mista Multiservizi, grazie al supporto di compiacenti prestanome che nel tempo si sono avvicendati alla guida delle società schermo del clan.
Una verità che diversi pentiti – Giovambattista Fracapane, Paolo Iannò – avevano, nel corso degli anni già affermato, ricostruendo con sicurezza la mappa delle società del Comune finite in mano alle cosche, ma alla quale l’indagine condotta dalla Dda di Reggio Calabria, fornisce riscontri concreti. Riscontri che chiamano in causa quella cosiddetta “borghesia mafiosa” che ha permesso alla `ndrangheta di accedere al cuore economico della città: la pubblica amministrazione e il giro d’affari che attorno ad essa ruota. Protetti da un sistema complesso di scatole cinesi, ricostruito minuziosamente dagli investigatori coordinati dagli ufficiali delle Fiamme gialle Claudio Petroziello e Gerardo Mastrodomenico, i boss anche dal carcere hanno continuato a tenere saldamente in mano le redini delle imprese partner della Multiservizi. O meglio dell’impresa. Perché le società Com.Edil Srl, Si.Ca srl e Rec.im Srl, nonostante negli anni abbiano formalmente cambiato nomi e proprietari, da sempre – dicono le risultanze investigative – rispondono a una medesima identità economica e gestionale, quella del clan Tegano. Del resto, Giovanni Tegano, l’anziano boss da tempo in carcere, poteva infatti disporre non solo di picciotti e gregari, come i Lavilla o i Rechichi, che di padre in figli, si sono tramandati la fedeltà e il ruolo da prestanome del clan. Ma anche e soprattutto, di quei professionisti che hanno costruito il labirinto contabile utile per lungo tempo a depistare gli investigatori.
Regista dell’operazione, almeno dal 2002 in poi, Giovanni Zumbo, uomo ormai noto tanto alle cronache come alla Procura, già condannato in due diversi procedimenti a 16 e 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Commercialista di professione, con un passato da amministratore di beni confiscati, ben visto nel cetrodestra locale – può vantare un incarico da assistente dell’ex assessore al personale e oggi sottosegretario della Giunta regionale Alberto Sarra – ex collaboratore dei servizi segreti accreditato presso uffici giudiziari e agenzie di sicurezza, Giovanni Zumbo è stato pizzicato dagli investigatori a soffiare preziose e riservatissime informazioni su indagini in corso a boss di primo piano, come Giuseppe Pelle, dominus della `ndrangheta della Jonica, e Giovanni Ficara. Insieme a quest’ultimo, avrebbe avuto un ruolo non di secondo piano, nella messinscena architettata nel gennaio 2010 per accreditarsi come fonte attendibile presso investigatori ed inquirenti, quando un auto imbottita di armi venne fatta ritrovare – grazie a una soffiata dello stesso Zumbo – nel giorno della visita in città del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Ma – dimostra l’operazione Astrea – Giovanni Zumbo era un professionista al servizio delle cosche. Di tutte le cosche. Per proteggere il patrimonio dei Tegano, l’ex antenna dei servizi non ha avuto remore a congegnare insieme al cognato Roberto Emo, un fittizio passaggio delle quote delle società a favore delle rispettive mogli, l’avvocato Maria Francesca Toscano e la commercialista Maria Porzia Zumbo. La società, all’epoca in mano ai fratelli Antonio e Maurizio Lavilla, i prestanome del tempo troppo in odor di ndrangheta per essere affidabili, rischiava di finire nel mirino degli investigatori. Era necessario un nome nuovo e un volto nuovo. Disegnato allo scopo da Zumbo e dai suoi familiari, che per tutelare il patrimonio del boss non esitano ad esporsi in prima persona. La Toscano e la Zumbo, nonostante fossero solo formalmente proprietarie della società, negli anni si sono prestate in modo consapevole non solo ad acquisirne la formale titolarità, ma anche ad effettuare su mandato del clan una serie di investimenti immobiliari, necessari per sottrarre agli investigatori case e magazzini a rischio sequestro. Acquisizioni propedeutiche a una nuova cessione di quote, questa volta a favore dei figli di Giuseppe Rechichi, il primo e più fidato prestanome dei Tegano, ma dalla fedina penale troppo opaca per mettersi in gioco in prima persona.
Ma non era la prima volta che i fratelli Zumbo e i rispettivi coniugi entravano in affari con il clan. Sempre l’operazione Astrea ha dimostrato come i quattro siano stati a rotazione soci di minoranza della società che gestisce la grande struttura sportiva di Parco Caserta, realizzata dal Comune di Reggio Calabria. Una società che ricade – come il pentito Roberto Moio ha affermato e le indagini hanno documentato – nell’orbita del boss Giuseppe De Stefano, che del cartello De Stefano – Tegano è personaggio di primissimo piano. Con il quale, dimostrano le intercettazioni, l’ex collaboratore dei servizi aveva secondo gli inquirenti «una significativa familiarità e fluidità di rapporti». (0090)