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In 7 ore il "romanzo criminale" di Melito

Ha parlato per oltre sette ore, ma non è stato che l’inizio della lunga, appassionata requisitoria con cui il pm Antonio De Bernardo ha iniziato a tirare le fila del filone con rito abbreviato dei  p…

Pubblicato il: 08/04/2014 – 19:39
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In 7 ore il "romanzo criminale" di Melito

Ha parlato per oltre sette ore, ma non è stato che l’inizio della lunga, appassionata requisitoria con cui il pm Antonio De Bernardo ha iniziato a tirare le fila del filone con rito abbreviato dei  procedimenti Ada e Sipario, scaturiti dalle due operazioni che in meno di un anno hanno messo in ginocchio il clan Iamonte. Un vero e proprio maxiprocesso che vede alla sbarra 86 imputati,  accusati a vario titolo di associazione mafiosa, tentata estorsione, danneggiamenti, detenzione di armi, concorrenza illecita, detenzione e  traffico di stupefacenti, tutti commessi nel piccolo comune di Melito Porto Salvo.
Un paese relativamente piccolo, ma esponenzialmente importante a livello criminale. Incastrato fra la periferia sud di Reggio Calabria e la grande provincia jonica, negli anni – hanno svelato le indagini – Melito è stato un fondamentale locale cerniera fra il mandamento centro e quello jonico, fra le istanze e le pretese della città e quelle della provincia. Un locale e un paese su cui gli Iamonte – afferma il pm – avevano il dominio assoluto. Dalla politica all’economia, dagli equilibri e spartizioni criminali, alla gestione delle attività ludiche e sociali, tutto era sotto il controllo del clan.
Grazie alla connivenza degli amministratori locali – tutti a processo con rito ordinario – e il supporto di imprenditori, alcuni dei quali ritenuti affiliati al clan, i Iamonte hanno non solo condizionato il regolare svolgimento delle gare d’appalto bandite dai comuni del basso Jonio, ma sono riusciti a monopolizzare le attività imprenditoriali nel settore edilizio, sia pubblico che privato. Qualunque tipo di attività economica – è emerso dalle indagini della Dda – era subordinata al benestare del clan, che esercitava il proprio dominio attraverso varie forme di condizionamento dal pagamento del pizzo, all’imposizione delle forniture e della manodopera, fino ad arrivare all’accettazione coatta, da parte di alcuni imprenditori, dell’estromissione da gare di appalto e lavori in favore di imprese riconducibili alla cosca.
Risultanze investigative che non hanno fatto che confermare – ha ricostruito il pm nel corso della requisitoria – quanto già emerso nelle inchieste Rose Rosse, Ramo Spezzato e Crimine, che nel tempo hanno in varia misura  raccontato come il clan Iamonte abbia infettato il territorio. «L’ingombrante presenza di questo nucleo criminale e la sua incessante, nefasta ingerenza in tutte le attività economiche e politiche che si svolgono nel territorio assoggettato al suo dominio – ha spiegato De Bernardo – sono state puntualmente confermate da numerose pronunce giurisdizionali. Le investigazioni coordinate da questa Direzione Distrettuale Antimafia hanno consentito di mettere a fuoco i contorni di un’associazione per delinquere di tipo mafioso, operante nel territorio di Melito Porto Salvo, i cui maggiori esponenti rispondono ai nomi di  Natale Iamonte, Vincenzo Iamonte,  Giuseppe Iamonte, Antonino Iamonte, e Carmelo e  Remingo Iamonte».
Nomi pesanti tanto a Melito, come nell’intero mandamento jonico, ha ricordato il pm, ripercorrendo quell’intercettazione captata nel corso dell’indagine Crimine nella lavanderia Ape Green di Siderno che dimostra come anche per il Mastro Giuseppe Commisso, considerato uno degli elementi  di vertice della ndrangheta della jonica, Carmelo Iamonte fosse «uno di famiglia». Una cartina tornasole della caratura criminale non solo del singolo soggetto, ha spiegato il pm – ma dell’intera famiglia che per decenni è stata in grado di imporre il proprio volere su Melito e non solo.

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