Caso Cacciola, il 2 maggio i legali davanti al gup
PALMI Si dovranno presentare il prossimo 2 maggio di fronte al gup Barbara Bennato i legali Vittorio Pisani e Gregorio Cacciola, accusati di aver curato la finta ritrattazione della testimone di gius…

PALMI Si dovranno presentare il prossimo 2 maggio di fronte al gup Barbara Bennato i legali Vittorio Pisani e Gregorio Cacciola, accusati di aver curato la finta ritrattazione della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola, morta suicida nell’agosto del 2011, così come i familiari della donna tutti accusati di violenza privata aggravata dalle modalità mafiose. Per gli inquirenti infatti, a obbligare la donna a recedere dal percorso di collaborazione intrapreso sarebbero stati non solo i più stretti familiari – la madre, Anna Rosalba Lazzaro, il fratello Giuseppe e il padre Michele Cacciola, già condannati dal Tribunale di Palmi per diversi episodi di maltrattamento – ma anche i legali, che avrebbero avuto un ruolo di primo piano nella costruzione della falsa confessione con cui l`ex collaboratrice di giustizia, pochi giorni prima di morire dopo aver ingerito una dose letale di acido muriatico, ha smentito le dichiarazioni fatte ai magistrati contro il clan Bellocco.
Fatta eccezione per la Lazzaro, difesa dall’avvocato Gianfranco Giunta, cui sono stati concessi i domiciliari, nelle scorse settimane il Tribunale della libertà aveva respinto le istanze difensive presentate dagli imputati del nuovo procedimento che sta tentando di fare luce sugli ultimi mesi di vita di Cetta Cacciola. Nel frattempo però, si sono fatte invece più pesanti e circostanziate le contestazioni a carico dell’avvocato Vittorio Pisani, uno dei due legali accusati dai magistrati di aver fornito «un contributo di natura morale nella qualità di consigliori di ogni mossa compiuta dai Cacciola» prima per rintracciare la donna, quindi per convincerla a smentire le pesantissime dichiarazioni fatte tanto a carico dei familiari, come del potentissimo clan attorno al quale si ritiene che gravitino.
Agli atti del procedimento sono finite infatti anche le pesantissime dichiarazioni del pentito Salvatore Facchinetti, che ha accusato Pisani, imputato in un procedimento penale insieme al padre per il reato di truffa ai danni della Comunità europea, di avere agito per conto dei Bellocco. Accuse che rendono ancora più complessa la difesa del legale, storico difensore del clan di Rosarno, coinvolto dal collega Cacciola nella “gestione” della delicata situazione della parente. «L`unico motivo plausibile – scrivono i magistrati – era ricollegabile alla volontà di ridurre il rischio di ritorsioni da parte dei più blasonati parenti, mettendosi a loro disposizione per limitare gli effetti delle devastanti dichiarazioni di Maria Concetta affidandosi alla competenza ed alla conoscenza del citato professionista».
Il prossimo due maggio dunque toccherà al gup decidere se i cinque dovranno affrontare in giudizio le accuse che vengono loro contestate, mente non si fermano le indagini sulla tragica fine della testimone di giustizia. La Procura di Palmi, all’esito del processo di primo grado che ha visto alla sbarra i familiari di Cetta, ha infatti rinviato gli atti in Procura, segnalando una possibile e ben più grave nuova ipotesi di reato: omicidio.Per i giudici di primo grado infatti, la scelta del suicidio non troverebbe conferma negli «atti di indagine, letti unitamente alle acquisizioni dibattimentali ed agli accadimenti immediatamente successivi alla morte della collaboratrice», tanto meno sarebbe suffragata «dallo stato d`animo che la stessa Maria Concetta, nei giorni che ne hanno preceduto la scomparsa, manifestava alle persone con le quali si confidava e che riteneva a lei più vicine».
«Se la causa di morte strictu sensu intesa è innegabilmente quella cristallizzata nel capo di imputazione (più precisamente l`asfissia determinata dall`assunzione di una sostanza altamente tossica acorrosiva) – scrivevano i giudici nelle motivazioni – gli esiti dell`istruttoria dibattimentale svolta – a giudizio della Corte – impongono di concludere che la donna non si sia inflitta autonomamente tale atroce morte ma che sia stata, al contrario, assassinata». (0090)