Il primo giorno della Commissione antimafia a Reggio
REGGIO CALABRIA «Il fatto che la Commissione parlamentare antimafia sia tornata per la seconda volta in città dimostra la grande attenzione che per Reggio ha anche la politica nazionale. Reggio è uno…

REGGIO CALABRIA «Il fatto che la Commissione parlamentare antimafia sia tornata per la seconda volta in città dimostra la grande attenzione che per Reggio ha anche la politica nazionale. Reggio è uno snodo fondamentale, soprattutto perché la ndrangheta ha preso il monopolio delle attività criminose più produttive, che finiscono per influire anche sull’economia e per condizionare la politica locale. Credo che la Commissione abbia il polso esatto di quella che è la situazione di Reggio e il suo ritorno qui significa che c’è quell’attenzione che Reggio merita, ma è anche un segnale per tutte quelle persone perbene che credono nelle istituzioni e soprattutto in uno Stato che riesce a recuperare». Sono da molto passate le 21 quando il procuratore capo Federico Cafiero De Raho esce dalla stanza della prefettura dove, dalle prime ore del pomeriggio, si sono svolte le audizioni di fronte alla Commissione parlamentare antimafia, tornata in città a pochi mesi dalla visita del dicembre scorso. I suoi sostituti – i pm Roberto Di Palma, Alessandra Cerreti, Giovanni Musarò, Antonio De Bernardo – hanno già lasciato il palazzo, il procuratore aggiunto Nicola Gratteri, uscito da quelle stesse stanze, in cui era presente anche nella qualità di consulente permanente della Commissione, lo ha preceduto di poco. I massimi vertici delle forze dell’ordine – il comandante provinciale dei Carabinieri, Lorenzo Falferi, il questore Guido Longo, il comandante provinciale della guardia di Finanza, Alessandro Barbera – lo attendono per un ultimo scambio rapido di commenti. Cafiero De Raho – gli si legge in volto – è stanco. Ha affidato il voluminoso raccoglitore blu, pieno di atti e documenti da mostrare ai parlamentari, a uno degli uomini della scorta. L’audizione è stata lunga e impegnativa. Ma sul viso gli si disegna anche l’ombra della soddisfazione per il lavoro che è stato fatto, ma che soprattutto inizia a essere compreso. Anche nella coscienza dei parlamentari della Commissione la percezione del pericolo mafioso in Calabria sta cambiando, l’emergenza inizia a essere percepita come tale, i segnali di allarme non sono più inascoltati. «Oggi sono stati trattati alcuni temi specifici, andando più in profondità su alcuni settori particolarmente significativi». Quali non è dato saperlo. Il procuratore è tenuto al più stretto riserbo perché l’audizione è stata secretata, a testimonianza di una situazione di tensione crescente, già trapelata nelle scorse settimane e che la Dda reggina monitora e controlla, ma che non può e non vuole gestire senza che lo Stato centrale faccia la sua parte in termini di uomini, mezzi e attenzione. Ma sul piatto della discussione ci sono anche la delicata situazione del porto di Gioia Tauro, dove non più tardi di oggi la Finanza ha sequestrato un nuovo carico di droga e che a breve dovrà accogliere anche il delicatissimo carico di armi chimiche proveniente dalla Siria, così come la sempre inquieta Locride, dove i clan – nonostante le operazioni e gli arresti – sembrano sempre in grado di infettare la vita della comunità in ogni suo aspetto. Tutto materiale che adesso la Commissione dovrà valutare ed elaborare, insieme al grido di allarme dei sindacati del territorio, che di fronte ai parlamentari si sono fatti portatori dell’urlo di disperazione di un territorio in cui i morsi della crisi si sono fatti sentire più che altrove e l’emigrazione è tornata ad essere una prospettiva molto, troppo concreta per molti giovani e meno giovani. Ma per i parlamentari della Commissione, un segnale d’allarme è arrivato anche dai giornalisti de L’Ora della Calabria – rappresentati dal direttore Luciano Regolo e dal caposervizio di Reggio, Consolato Minniti, ascoltati a chiusura dei lavori – che da giorni occupano le redazioni per difendere il proprio posto di lavoro, messo in pericolo da quella che denunciano come una manovra di potere.