Meta, i giudici entrano in camera di consiglio
REGGIO CALABRIA «Quella che viene portata alla vostra attenzione non è la verità di un singolo ufficio, ma il risultato di un incrocio di elementi, letti criticamente, che dimostrano che qualcosa, a…

REGGIO CALABRIA «Quella che viene portata alla vostra attenzione non è la verità di un singolo ufficio, ma il risultato di un incrocio di elementi, letti criticamente, che dimostrano che qualcosa, a partire dal 2001 in questa città, per quello che riguarda il contesto di tipo mafioso è successo. E quello che è successo penso di essere stato in grado di ricostruirlo nel capo A di imputazione». Sono parole nette, precise e senza sfumature quelle che il pm Giuseppe Lombardo sceglie per tornare a spiegare al Collegio la sua indagine al termine delle arringhe difensive, che per settimane hanno tentato di smussare, sfumare, interpretare la verità processuale emersa dalla lunga istruttoria del processo Meta. Ma – sottolinea il pm – «se c’è una cosa che non manca alla ricostruzione che è stata fatta in questa sede è proprio una coerenza di fondo. Perché questa non è un’indagine che nasce e muore con le intercettazioni che opera il Ros di Reggio Calabria a partire dal 2005 e – come avviene in altri contesti – sviluppiamo solo il materiale e arriviamo qui a chiedere l’affermazione di una penale responsabilità senza aver verificato eventuali contaminazioni. Noi siamo andati a prendere quel materiale del Ros di Reggio Calabria e lo abbiamo confrontato con i collaboratori di giustizia, con le risultanze dei processi e abbiamo tratto un elemento estremamente resistente».
LA SUPERASSOCIAZIONE
Un elemento, cristallizzato nel capo A della rubrica che restituisce una concezione nuova della `ndrangheta, che concepisce, prefigura e spiega quel “terzo livello” che lega `ndrine e rappresentanti della politica, dell’economia e delle istituzioni, ma soprattutto disegna le relazioni che legano l’organizzazione militare “visibile” a quei «soggetti appartenenti al medesimo sistema criminale inseriti in più elevati ambiti decisionali in parte occulti a cui carico si procede separatamente». Ed è alla luce di questa nuova concezione che Giuseppe De Stefano, Pasquale Condello, Giovanni Tegano, Domenico Libri «costituiscono e compongono un articolato organismo decisionale di tipo verticistico di cui dirigono e compongono l’azione strutturato in ossequio alle tendenze evolutive registrate al termine della seconda guerra di mafia, 1985-1991».
Un conflitto che ha riscritto le regole e forse anche la natura e il ruolo dei clan che vi hanno partecipato e che ha partorito un organismo di vertice di cui i De Stefano, i Condello, i Libri e i Tegano sono il nome e il volto finalizzato «a dotare anche la componente visibile dell’organizzazione di cui fanno parte di una struttura gerarchica piramidale di più moderna concezione maggiormente in grado di garantire l’impermeabilità informativa, l’agilità operativa, il proficuo perseguimento degli scopi programmati e la compiuta interrelazione con gli ulteriori soggetti a cui carico si procede separatamente dotati di cariche invisibili e inseriti nel più ampio sistema criminale di riferimento».
Il direttorio dei clan è dunque – spiega il pm Lombardo – l’anello di congiunzione fra la `ndrangheta visibile, quell’associazione di tipo mafioso armata, «presente e operante nel territorio della provincia di Reggio Calabria, in territorio nazionale e all’estero, costituita da numerosi locali, articolata in tre mandamenti e con un organo di vertice collegiale denominato provincia», e gli elementi invisibili, parte dello stesso sistema criminale, che con la struttura militare e visibile non hanno formalmente nulla a che fare, ma che con essa condividono obiettivi e propositi.
OBIETTIVO: GLI INVISIBILI
Sarà compito di altre indagini e sarà in altra sede – ripete, o quasi promette il pm Lombardo al principale imputato Giuseppe de Stefano, che la scorsa udienza sul punto aveva richiamato l’attenzione – che questi personaggi ancora misteriosi, ma ben presenti nelle dichiarazioni di più di un collaboratore, come nelle pieghe di operazioni immobiliari, commerciali e finanziarie su cui le indagini ancora in corso, dovranno essere individuati e perseguiti. Ma questo non potrà che essere l’esito di un «percorso logico, prima di tutto processuale», spiega Lombardo, che passa necessariamente dall’individuazione e dal riconoscimento della superassociazione – quel direttorio di clan formato dalle famiglie De Stefano, Tegano, Condello e Libri – che dalla fine della seconda guerra di `ndrangheta è stata anche la camera di compensazione e la cinghia di trasmissione fra le istanze degli invisibili e la `ndrangheta militare.
Un punto su cui anche oggi il pm è stato costretto a tornare per dissipare la cortina di fumo e confusione alzata sul punto dalle arringhe difensive: «Se l’argomentazione di base prende spunto dal fatto che le quattro grandi famiglie si trasformano per diventare qualcosa di diverso, e quindi perdono quelle caratteristiche di fondo che le collocavano al vertice della `ndrangheta reggina, ci troveremmo di fronte a una macrofamiglia caratterizzata da fusione per incorporazione di tutta una serie di cosche. Il problema è che l’impostazione del pm non è questa. Il pubblico ministero parte dal riconoscimento della operatività delle singole articolazioni della `ndrangheta, della perdurante attività delle cosche Condello, De Stefano, Tegano e Libri, per fare una valutazione ulteriore, che parte proprio dal fatto che quelle famiglie continuano a essere collocate al vertice della macrostruttura criminale di tipo mafioso che è la `ndrangheta».
COMITATO DI GESTIONE
In sintesi dunque, «il vertice di quelle famiglie è un organismo decisionale di tipo collegiale che assume determinate decisioni e non è paragonabile a un consiglio d’amministrazione, perché sarebbe riduttivo. In realtà, ogni singola articolazione ha un proprio cda. Noi ci troviamo in presenza di un gruppo industriale – la `ndrangheta – che ha un consiglio di gestione di vertice che è composto dai vertici dei singoli consigli di amministrazione, che quando sono chiamati a prendere determinate decisioni si confrontano all’interno del consiglio di gestione della società capogruppo e in quella sede approvano tutta una serie di linee che devono essere osservate dalle partecipate».
Una struttura complessa e ramificata, solo alla luce della quale è possibile spiegare il grado di penetrazione e ramificazione del fenomeno `ndranghetista nella società italiana e non solo, ma che si basa su mattoni ancestrali perché «ogni singola componente di `ndrangheta, ogni singola cosca rimane esattamente al suo posto, perché è da lì che poi proviene quel prestigio criminale che serve all’interno dell’organismo decisionale di tipo verticistico per coordinare le varie azioni delle grandi famiglie attraverso l’organo oggetto di contestazione del capo della rubrica».
E di certo non sono né possono essere – spiega Lombardo – le fibrillazioni degli ultimi anni o degli ultimi mesi, i fatti di sangue, gli omicidi di rango, come le più o meno coreografiche estorsioni a mettere in discussione «l’esistenza almeno decennale di un organismo di vertice a Reggio Calabria».
TUTTI GLI UOMINI DEL DIRETTORIO
È dunque in questo quadro che vanno collocate le figure di vertice che compongono quell’organismo, a partire da chi come Giuseppe De Stefano – anche oggi intervenuto per puntualizzare quanto emerso a suo carico – ne è stato scelto come unico «soggetto che per storia criminale, per discendenza familiare, per capacità personale potesse superare tutta una serie di problematiche connesse a quella “gestione ordinaria degli affari correnti”» che nella nuova `ndrangheta partorita dalla seconda guerra ha sostituito all’arbitrio del singolo caso, la standardizzazione del metodo. Un ruolo ereditato, voluto se non “restituito” dal superboss Pasquale Condello, che a sua volta lo aveva ricevuto da don Paolino De Stefano, al cui “casato” ha voluto che tornasse, con il beneplacito e l’accordo di quelle famiglie
oggi governate da Giovanni Tegano e Pasquale Libri, custode delle nuove regole, che a pieno titolo fanno parte del medesimo direttorio. E lavorano per forgiare il nuovo, con la valorizzazione di figure come quelle di Domenico Condello, nipote del Superboss, suo braccio destro ed elemento privilegiato – emerge dall’istruttoria, nonostante la difesa appassionata dell’avvocato Francesco Calabrese – di collegamento con il resto dell’organizzazione.
CAMERA DI CONSIGLIO
Tutti elementi che adesso toccherà alla corte valutare. E che i giudici hanno tutta l’intenzione di voler pesare e valutare con calma ed attenzione. Non ci sono indicazioni di orario, ma in aula bunker tutti sanno che questo potrebbe essere un lungo weekend. Al termine di tre anni di processo, il Collegio presieduto da Silvana Grasso si è ritirato in camera di consiglio, salutato con il quasi deferente «buon lavoro» di Giuseppe De Stefano, intervenuto ancora una volta per contestare gli elementi «dell’aberrante mentalità `ndranghetista che mi si contesta in questo processo, ma che con me non ha nulla a che fare». Affermazioni in contrasto con quanto emerso in anni e anni di dibattimenti, ma cui – adesso – solo la corte, alla lettura del dispositivo, sarà chiamata a rispondere. A tutti gli altri – pm, avvocati, imputati e familiari – non resta che attendere. (0040)