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SENTENZA META | Il primato dei De Stefano

REGGIO CALABRIA Bisognerà attendere ancora due gradi di giudizio per affermare come definitiva la rivoluzionaria concezione introdotta con la sentenza che ha chiuso il processo “Meta”. Ma al di là de…

Pubblicato il: 07/05/2014 – 15:19
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SENTENZA META | Il primato dei De Stefano

REGGIO CALABRIA Bisognerà attendere ancora due gradi di giudizio per affermare come definitiva la rivoluzionaria concezione introdotta con la sentenza che ha chiuso il processo “Meta”. Ma al di là dei quasi quattro secoli di carcere piovuti per volere del collegio sulla testa degli imputati, il peso di questa sentenza è soprattutto un altro. Da oggi si potrà affermare senza timore di smentite che «esiste una macroarea, che va da Villa San Giovanni a Pellaro, che è una sciocchezza pensare che le famiglie si occupino ognuna del proprio territorio e che al vertice di tale macroarea c’è un soggetto che ha una posizione sovraordinata a tutti gli altri». Un soggetto che gli inquirenti hanno identificato in Giuseppe De Stefano, erede di quella carica che un tempo era stata del padre, per decisione di chi da Don Paolino l’aveva ereditata, il suo storico braccio destro, solo per un breve, limitato e circoscritto periodo divenuto acerrimo nemico dei suoi eredi e del suo clan, Pasquale Condello.  

IL CAPOCRIMINE
Un ruolo che nel suo italiano, reso forse ulteriormente stentato dalla paura che ancora permane nei collaboratori – tutti – quando sono chiamati a parlare di casa De Stefano,  Fiume definisce Crimine, cioè «colui che gestisce i soldi – riporta il pm Lombardo – e le azioni criminose, riconosciuto da tutte le cosche. È a capo di tutto per poter dirigere», ma anche «colui che controlla tutte le strategie che riguardano una determinata fetta di territorio, cioè tutto quello che può portare soldi a livello di organizzazione». Strategie – rivelano anni di conversazioni intercettate, come le timide rivelazioni di nuovi collaboratori come Mesiano, che parlano di “fonte” o ancora le intercettazioni valorizzate in vecchie sentenze, come quella relativa a Filiberto Maisano del ’98 o quella ancora più recente, messa agli atti del procedimento contro Angelo Gaetano Chirico, cugino di uno zio dei fratelli De Stefano – che non vengono decise dai vertici territoriali dalle singole cosche, ma da un elemento sovraordinato. Il crimine o capocrimine, il capo. Acquisizioni che permettono al pm Lombardo di fare finalmente il punto – sgombrando il campo da strumentali e forse artificiose polemiche – sulla struttura della ‘ndrangheta. «Una ricostruzione – aveva spiegato in sede di requisitoria – che ha una storia lunga, caratterizzata da numerosi passaggi, accertata da diverse indagini, alla luce della quale oggi possiamo affermare che esiste un Crimine, che è un locale temporaneo che si forma a Polsi ogni anno, che è diverso sia strutturalmente che per funzioni da quel locale del mandamento cui il Crimine viene riconosciuto e dal suo capo che diventa il capocrimine di tutto il mandamento stesso che è chiamato a governare».

STORIA DI UN`EVOLUZIONE
Un ruolo che nel 2001, dopo un breve interregno di Pasquale Condello, tornerà – spiega ancora Lombardo – non a caso ai De Stefano, che non a caso – tenacemente – rivendicheranno il proprio ruolo anche nei confronti di quello zio Orazio, che dopo il matrimonio con Antonietta Benestare, nipote dei Tegano, era troppo accondiscendente nei confronti della famiglia acquisita. «La ‘ndrangheta che governa – sintetizza Lombardo – a Reggio è solo De Stefano, perché quando negli anni Settanta i De Stefano si sono sporcati le mani, quando si potevano permettere di fare la voce grossa con le altre organizzazioni, non è perché fossero nati predestinati, ma perché erano i più capaci, quelli che avevano intuito per primi l’evoluzione che avrebbe avuto l’organizzazione, proprio a partire da quelle relazioni che avevano iniziato a sviluppare negli anni Settanta. C’è stato qualcuno che ha avuto la capacità di capire, di sfruttare quelle relazioni e far sentire la propria voce in determinati contesto».  
Un’evoluzione sintetizzata da quanto più volte affermato dallo stesso Peppe De Stefano che – da capo vero – durante tutto il dibattimento non ha esitato a continuare a mandare messaggi. E forse anche a chi sta fuori più volte ha ricordato che «tutta Reggio camminava sulle nostre scarpe», così come è stato bene attento a puntualizzare che «noi con la `ndrangheta, cariche, santini, queste cose non abbiamo nulla a che fare».  E – probabilmente – De Stefano non ha mentito. Perché – e questo è emerso chiaro dal dibattimento – non è a quel livello che gli arcoti si muovono. E non a caso. Così come non è un caso il soggiorno reggino del terrorista nero Pierluigi Concutelli, come quello della primula nera dell’eversione di destra, Franco Freda, la cui latitanza fu gestita dai De Stefano a Reggio Calabria.

COS’È LA ‘NDRANGHETA?
Elementi che oggi trovano collocazione  in un quadro solido e completo, Meta di un’indagine coraggiosa e rivoluzionaria, ma anche nuovo punto di inizio. «Dobbiamo chiederci – aveva tuonato il pm Lombardo in sede di requisitoria – se la ‘ndrangheta è un esercito regolare, di soldati e generali, o un esercito irregolare, una legione straniera, in cui generali e soldati sono solo figuranti, che combattono al servizio di altri. Se è in grado di scegliere fino in fondo le proprie strategie o gode di un ambito limitato, destinato a risentire di ordini altrui. È importante chiedersi se è libera di individuare e sanzionare i propri nemici o esegue le sanzioni che altri hanno deciso. Mi piacerebbe sapere  anche se chi si avvale delle forme di intimidazione sia più o meno responsabile di chi invece in numerose occasioni le ha trasformate in strumenti operativi destinati ad attuare strategie occulte». Domande cui altri procedimenti sapranno forse a breve rispondere perché – aveva spiegato il pm – «questa non è Meta, ma metà». Indagini che forse potranno sciogliere un nodo che lo stesso sostituto aveva qualche settimana fa sottolineato: «Mi fa obiettivamente sorridere – aveva detto – che i continui risultati che riusciamo a produrre vengano sbandierati come grandissimi successi, quando poi parallelamente interrogati su quelle che sono le organizzazioni criminali storiche, ci troviamo a ripetere “sono sempre più ricche, potenti, all’interno degli ambienti che contano». Un nodo irrisolto che Reggio, la Calabria, forse l’Italia non possono permettersi. E che il pm Lombardo sembra deciso ad affrontare. (0020)

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