Cambiare vita, emanciparsi dalla pesante ombra del marito latitante, trovare un lavoro che le consentisse di rendersi indipendente. Stando a quanto dichiarato ai magistrati, sarebbero questi i consigli che l’ex ministro Claudio Scajola avrebbe dato alla moglie dell’amico e collega di partito, Amedeo Matacena, da tempo a Dubai perché inseguito da una condanna definitiva per mafia. Con gli inquirenti che a pochi giorni dall’arresto lo hanno interrogato, Scajola non si è dilungato sulla natura delle possibili «collaborazioni» – così le definisce – che avrebbe potuto procurare alla Rizzo, limitandosi ad affermare: «Avrebbe potuto cercarsi un lavoro. È una bella donna, faceva la modella e poteva trovare la possibilità di fare qualcosa. Io l’avrei aiutata». E Scajola si è attivato davvero per procurare alla Rizzo una fonte – quanto meno ufficiale – ingressi, ma i primi a rimanere interdetti per la richiesta che era stata loro rivolta sono stati proprio gli interlocutori dell’ex ministro, come Guido Roveta, patron della piccola ma combattiva Criotec, azienda che collabora in Italia con l’Infn, con l’Enea e alcuni politecnici, mentre all’estero vanta rapporti addirittura con il Cern, tutti centri di ricerca di primo livello. Ai magistrati che lo interrogano, Roveta, quasi ancora perplesso, conferma: «Ricordo di essere stato contattato dall’ingegner Della Corte, responsabile dell’Enea e presidente della Icas (consorzio di cui fa parte Criotec, Tratos ed Enea), all’incirca dieci giorni prima del 7 febbraio 2014: in quella occasione mi chiese, su suggerimento del dottor Lelli, presidente dell’Enea, di incontrare una persona che interessava all’onorevole Scajola e che aveva bisogno di un contratto di lavoro a tempo determinato». Probabilmente non è un caso che il commissario Giovanni Lelli e l’ingegnere Antonio Della Corte si muovessero con tanta sollecitudine in risposta ai desiderata di Scajola. Nel 2009, proprio quando ministro dello Sviluppo economico era Scajola, il “ddl Sviluppo” è diventato legge, sopprimendo l’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (Enea) e istituendo contestualmente l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, comunque denominata Enea, di cui proprio Lelli sarà chiamato a fare il commissario. È dunque preceduta da referenze pesanti che Chiara Rizzo si presenta all’appuntamento. Quel giorno, allo studio imperiese di Scajola, ricorda Roveta, «eravamo presenti io, il Della Corte, lo Scajola, la signora oggetto di segnalazione, che ho poi appreso chiamarsi Rizzo Chiara, e la segretaria dello Scajola, che però non ha preso parte alla discussione». È toccato all’ex ministro mettere sul tavolo termini della questione e per farlo non ha usato – a quanto riferisce Roveta – giri di parole: «Disse a me e al Della Corte che la signora aveva bisogno di aiuto in quanto al marito, che qualificò suo amico e compagno di partito, erano stati confiscati i beni: questa era la ragione che lo aveva spinto a chiederci di sostenere la signora per circa sei mesi/un anno». Una presunta confisca dei beni – che allo stato non risulta agli atti di nessuno dei procedimenti che vedano Matacena imputato o indagato –, stando a quanto Scajola avrebbe detto a Roveta e Della Corte, «aveva ingenerato una sofferenza finanziaria in capo alla Rizzo». Non fornisce dettagli l’ex ministro, neanche una sillaba sui contatti con i clan per cui Amedeo Matacena è stato condannato, tanto meno si spreca in riferimenti precisi alla latitanza del «collega». «Sono rimasto stupito – dice Roveta ai magistrati – dal fatto che un politico di lungo corso come Scajola non si fosse preoccupato di esplicitare in quel modo i riferimenti alle vicende processuali del Matacena e ai suoi legami con ambienti mafiosi. Tale circostanza generò una evidente perplessità anche in capo all’ingegner Della Corte, come lo stesso mi comunicò al termine dell’incontro». Anche la richiesta arrivata da Scajola è sembrata quanto meno curiosa al patron di Criotec. «Il rapporto di lavoro che ci veniva richiesto ho poi capito fosse sostanzialmente di copertura: sono stati lo Scajola e la Rizzo a precisare che era sufficiente una retribuzione di 1000 euro al mese, che ho capito avremmo dovuto versare effettivamente anche se sono convinto che la signora non avrebbe prestato alcuna attività lavorativa, visto che non mi è stato chiesto in alcun modo di indicare il luogo dove l’attività lavorativa si sarebbe materialmente svolta». L’azienda avrebbe dovuto dunque regolarmente retribuire la moglie di Matacena, sostanzialmente per non fare nulla, ma per il ministro era importante che venisse assunta con regolare contratto. Una richiesta immediatamente sembrata anomala tanto a Della Corte come a Roveta che, ai pm che lo interrogano, dice: «I mille euro richiesti ci apparivano ridicoli in relazione al tenore di vita della signora, per come da noi percepito nel corso della riunione». Una cifra assolutamente sproporzionata all’elevatissimo tenore di vita della donna, che non sembrava aver bisogno di quegli “spiccioli” per mantenersi. E maggiore sorpresa la avranno i due quando, al termine dell’incontro, proveranno ad approfondire su internet la situazione della famiglia Matacena. Della Corte – riferisce Roveta – «mi chiamò per dirmi di aver effettuato delle ricerche tramite fonti aperte sul conto del Matacena e di aver scoperto che lo stesso era stato condannato per i suoi rapporti con la ‘ndrangheta di origine calabrese. A quel punto abbiamo deciso di interrompere qualsiasi rapporto, riferendo tale decisione anche al dottor Lelli, che ha condiviso la nostra posizione».
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