Questa è una riflessione scritta di getto, sull’onda dell’indignazione che monta in me come uno tsunami inarrestabile, ma che dovrebbe crescere a dismisura, e tradursi in comportamenti conseguenti, nei cittadini onesti e nella persone per bene. Si parla tanto di Berlinguer in questo periodo, della sua politica, che raramente ho condiviso, ma soprattutto della sua dirittura morale, del suo tentativo di fare della questione morale il fulcro attorno al quale fare ruotare tutto il resto, il punto di partenza di ogni strategia per cambiare la realtà del nostro Paese. A vent’anni dalla sua morte, possiamo affermare, senza tema di smentita: Berlinguer ha perso.
E non ha perso solo perché la politica, nel suo complesso, ha gettato con noncuranza nel cestino i suoi insegnamenti, ritenuti spessissimo inutili fardelli da scrollarsi di dosso come fastidiose fisse da giustizialisti e da moralisti. Ha perso perché la società italiana, nel suo complesso, ha compiuto la medesima operazione.
Gli esempi che potrei portare a sostegno di questa tesi sono decine, e ognuno di noi, senza particolare sforzo mentale, è in grado di rintracciarli nella propria memoria.
C’è una frase che mi martella il cervello, ormai da tempo. È una frase di Corrado Alvaro: «La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile».
Oltre che inutile, aggiungo, è controproducente. È roba da anime belle, da poveri illusi. Da persone da compatire, da guardare con aria di sufficienza pensando “ancora non hanno capito come va il mondo”, aggiungendo “a quella età”, quando l’illuso ha superato l’età dell’incoscienza e dei sogni ed è diventato adulto e perciò stesso cinico e indifferente.
Da ieri tutti questi pensieri hanno letteralmente preso d’assalto la mia mente e inquinato la mia anima.
Dopo il condannato per frode fiscale ricevuto al Quirinale; il condannato per falsificazione di bilanci candidato alle elezioni; il sindaco mandato via per infiltrazioni mafiose che diventa assessore regionale; il latitante intervistato in televisione dal suo lontano rifugio dorato.
Dopo tutto questo, e tanto altro ancora che per ragioni di spazio non riporto, ieri sono toccate in sorte due interviste, una su un quotidiano locale, l’altra addirittura su Raitre Calabria (servizio pubblico a uso privato) nelle quali due personaggi noti alla cronaca giudiziaria venivano intervistati da solerti e ossequiosi giornalisti (in questi casi si usa dire: si dovrebbe aprire un dibattito sull’informazione e sulla deontologia professionale nella nostra terra) rispettivamente sul futuro di una squadra di pallavolo, e sulle difficoltà di un quartiere della nostra città, la quale, notoriamente, ha come Palermo un solo grande problema:quello del traffico.
Come se nulla fosse. Come se stessero esprimendo le loro opinioni due maitre à penser, e non soggetti che dovrebbero essere tenuti ai margini, in una società normale nella quale la decenza è sprofondata al livello della Fossa delle Marianne, dal normale consesso civile.
E allora: che cosa farne di Alvaro? Che cosa farne di Berlinguer? Di questi due poveretti che pretendevano, udite udite, di fare dell’Italia una nazione e degli italiani un popolo come tanti altri, dove i cattivi accertati stanno da una parte della lavagna, o meglio ancora dietro di essa, e i buoni dall’altra, stando bene attenti, sia chiaro, acché nel periodo transitorio che è necessario per arrivare a un giudizio fondato (in alcuni casi a una sentenza del giudice) non si proceda con una precipitazione eccessiva per questioni così delicate.
Certo, se poi si tratta di qualche poveretto, di un extracomunitario, di un barbone, di un drogato, di un rubagalline qualsiasi, allora tutte queste precauzioni si possono e si devono evitare. Nella giungla, l’importante è non molestare il leone.
*Ex assessore del Comune di Reggio
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