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ARMI SIRIANE | Completato il trasbordo

GIOIA TAURO «Il settantottesimo container è stato appena caricato e i capitani delle due navi hanno già chiesto di lasciare lo scalo». Mancano pochi minuti alle 20 quando dal prefetto Claudio Sa…

Pubblicato il: 02/07/2014 – 6:17
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ARMI SIRIANE | Completato il trasbordo

GIOIA TAURO «Il settantottesimo container è stato appena caricato e i capitani delle due navi hanno già chiesto di lasciare lo scalo». Mancano pochi minuti alle 20 quando dal prefetto Claudio Sammartino arriva l’annuncio ufficiale della conclusione delle operazioni al Porto di Gioia Tauro. Ci sono volute poco meno di undici ore per completare le operazioni di trasbordo dell’arsenale chimico di Bashar al Assad dal cargo danese Ark futura, su cui hanno lasciato la Siria, alla nave americana Cape Ray, su cui nei prossimi mesi gli agenti chimici saranno processati e resi inoffensivi. In un porto blindato da un imponente dispositivo di sicurezza, interdetto per mare e per terra all’accesso di ogni mezzo non autorizzato, per tutta la giornata tecnici dell’ Opac – l’organizzazione per la proibizione delle armi chimiche – e portuali hanno trasbordato i 78 container contenenti gas mostarda e precursori del Sarin. Un’operazione proseguita lentamente, ma senza incidenti o contestazioni che abbiano turbato o rallentato il cronoprogramma stabilito. Una circostanza che sembra rendere quasi profetica la nota con cui mesi fa i servizi segreti hanno dato visto buono all’opzione Gioia Tauro come porto italiano destinato ad ospitare la delicata operazione. «Non c’è, come a Brindisi e Augusta, una base militare nei pressi, ma la localizzazione tutto sommato isolata della “città della Piana” garantirebbe discrezione e poche tensioni e proteste».
Nonostante nei mesi scorsi la reazione indignata di molti amministratori del comprensorio, come di comitati e gruppi di attivisti locali abbia agitato la Piana con assemblee, manifestazioni e mobilitazioni, oggi a caricarsi sulle spalle il peso della protesta sono state non più di cinquanta persone del Comitato quartiere Fiume e della Pro loco di Gioia Tauro. Non erano di più gli attivisti che si sono presentati all’esterno del porto «per denunciare – hanno spiegato – lo scempio ambientale che si sta verificando nella Piana da alcuni anni a questa parte» e che sarebbe responsabile del picco di neoplasie registrato in zona. Una protesta contenuta, che non ha impensierito le forze dell’ordine, come poco o nulla sembra aver influito sugli equilibri dell’amministrazione locale, come sullo scenario politico, la lettera di dimissioni presentata da Giovanni Pantano, consigliere comunale pentastellato di San Ferdinando che ha abbandonato il suo scranno nell’assemblea «in segno di contestazione alla scelta scellerata imposta dal governo centrale avvenuta in totale assenza di confronto democratico, nella totale disinformazione e disinteresse verso il territorio e la popolazione».
Interpretazione opposta a quella dei rappresentanti governativi e parlamentari italiani, a partire dal ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti, che dopo un sopralluogo in porto per monitorare le operazioni di trasbordo, ha voluto sottolineare come «l’Italia oggi è protagonista di un’operazione che si concluderà con la distruzione di armi chimiche, contribuendo ad affermare la pace e la sicurezza nel mondo. Lo fa mostrando a tutti gli altri Paesi una professionalità molto forte, in una zona del Paese che è il Sud Italia e che oggi conquista una vetrina importante, dimostrando che in Italia non esistono zone di serie A o di serie B. Se c’è professionalità tutte le zone d’Italia sono pronte a rappresentare la Nazione con orgoglio e mostrano la buona parte del Paese». Ma luce verde all’operazione è arrivata anche dalla delegazione parlamentare delle commissioni Difesa di Camera e Senato, in questi giorni in missione a Gioia Tauro proprio per monitorare il trasbordo. «Nella parte finale di questa operazione, da parte degli americani, c’è stata piena apertura nel farci vedere tutte le strutture interne, tutto l’impianto di processazione delle componenti chimiche di idrolisi. Se nella fase iniziale si è mancato in termini di comunicazione, oggi possiamo affermare che c’è stata massima trasparenza», ha detto il presidente della commissione alla Camera Massimo Artini (M5s), che ha promesso anche «questa nostra missione è un passaggio che non finisce qui ci sono altri 60 giorni in cui c’è d fare l’idrolisi in mare e sui quali abbiamo intenzione di vigilare».
Concluse le operazioni in porto, la Cape Ray, scortata da pattugliatori di diversi Paesi, oltrepasserà le acque internazionali per dare il via alle operazioni di smaltimento per idrolisi, che per la prima volta avverranno a bordo di una nave attrezzata allo scopo. Stando ai piani, l’impianto della Cape Ray – sotto osservazione di 64 esperti chimici dell’Army’s Edgewood Chemical Biological Center, scortati da 35 marine statunitensi – dovrebbe riuscire a trattare 25 tonnellate di agenti chimici al giorno, dunque, ha comunicato Artini «in 60- 90 giorni di lavoro, calcolando quelli di inattività per mare mosso dovrebbero essere in grado di concludere le operazioni». Tutte attività che anche al centro del Mediterraneo saranno svolte in assoluta sicurezza, perché anche l’acqua utilizzata per scomporre le molecole di Sarin e iprite – assicurano dall’Opac – verrà stoccata per poi essere smaltita in Germania, Gran Bretagna e Norvegia.
Mentre le navi si apprestano a lasciare lo scalo di Gioia, sul territorio rimangono però i dubbi, gli interrogativi e soprattutto le inquietudini che hanno accompagnato l’operazione fin da quando l’allora presidente Enrico Letta ha annunciato che la scelta era caduta sullo scalo calabrese. Proprio negli stessi mesi, tanto dalla Direzione nazionale antimafia, come dalla Suprema Corte di Cassazione erano arrivati inequivocabili segnali d’allarme. «Il contesto criminale descritto, i continui episodi di collusione e penetrazione della ‘ndrangheta nelle strutture amministrative ed istituzionali non solo locali, il numero di consigli comunali sciolti per tali ragioni, la presenza asfissiante della ‘ndrine in tutte le realtà economiche e produttive, a partire da quella che doveva essere (e potrebbe essere) il punto di partenza di un grande rilancio economico, il porto di Gioia Tauro, danno l’idea di un assedio», aveva tuonato il sostituto procuratore Francesco Curcio dalla Dna, mentre era toccato al pg della Cassazione Gianfranco Ciani puntare il dito contro il «controllo quasi totalizzante del porto di Gioia Tauro» che la ‘ndrangheta oggi detiene. Segnali d’allarme mentre, nelle ultime ore, è emerso un particolare di non poco conto. La costosa e complessa operazione – ha ammesso il direttore generale e ministro plenipotenziario Brauzzi – ricadrá in larga parte sull’ Italia. «Abbiamo ottenuto – ha affermato Brauzzi – che i costi venissero scontati dal contributo di due milioni di euro che l’Italia aveva già deciso di destinare al fondo internazionale per le missioni di pace. Era il minimo per non essere da meno di quello che hanno fatto gli altri Paesi».

Quello del ministro plenipotenziario Brauzzi è tuttavia un bilancio positivo Possiamo essere orgogliosi perché è un bel momento per il nostro paese sul piano internazionale”, dice al termine delle operazioni sottolineando ” la vigilanza attiva del Parlamento e il pieno coinvolgimento autorità locali nell’operazione”, ma soprattutto “la totale trasparenza che ha permesso di superare le preoccupazioni e le paure che hanno animato il percorso”. Soddisfatti anche i delegati Onu e il rappresentante dell’ Opac, Rouz Bahani Mehrnan, che ha commentato “Non sono stati incontrati ostacoli di sorta, le operazioni si sono svolte in sicurezza e senza ritardi grazie all’eccellente preparazione dell’Italia. Possiamo gioire di questo grande successo”.

 

Alessia Candito