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'Ndrangheta a Gallicianò, chiesto un secolo di carcere

REGGIO CALABRIA Due assoluzioni e quindici condanne per oltre un secolo di carcere. Sono richieste pesanti quelle che il pm Antonio De Bernardo ha avanzato al termine della propria requisitoria al pr…

Pubblicato il: 10/07/2014 – 14:42
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'Ndrangheta a Gallicianò, chiesto un secolo di carcere

REGGIO CALABRIA Due assoluzioni e quindici condanne per oltre un secolo di carcere. Sono richieste pesanti quelle che il pm Antonio De Bernardo ha avanzato al termine della propria requisitoria al processo abbreviato Eldorado, il procedimento che per la prima volta ha portato alla luce l’esistenza di un Locale di ‘ndrangheta a Gallicianò, dove la criminalità organizzata aveva il nome e il volto della famiglia Nucera. È dunque per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, detenzione illegale di armi, riciclaggio e impiego di denaro e beni di provenienza illecita, di cui sono a vario titolo accusati, che il pm ha chiesto al gup di condannare Antonio Nucera (del ’55) a 18 anni di carcere, mentre è di 14 anni di reclusione la pena invocata per Giuseppe Nucera. È invece di 12 anni la pena invocata per Domenico Nucera, mentre a 10 anni di carcere, per il pm, deve esser condannato Antonio Nucera (del ’41). Incassano invece una richiesta di pena a 8 anni Antonino Casili, Diego Nucera, Pietro Rodà e Girolamo Zindato; sei anni di reclusione sono stati invocati invece per Carmelo Nucera (del ’50), Carmelo Nucera (del ’70), Francesco Nucera (dell’81), Raffaele Nucera (del ’63) e Raffaele Nucera (del ’73), mentre di cinque anni è la pena richiesta per Domenico Foti e Concetto Manti. Si dovrebbero salvare invece da ogni contestazione a loro carico Roberto Raso e Domenico Vitale, per i quali lo stesso pm ha chiesto l’assoluzione. Stando a quanto emerso nel corso delle indagini, anche nella piccola frazione di Gallicianò, a Condofuri, dove le inchieste della Dda reggina hanno già in passato individuato due distinti locali, i clan – hanno svelato le indagini – hanno messo radici: lì vi sarebbe stato il cuore del rodato sistema di riciclaggio di denaro sporco, che gli uomini delle ‘ndrine ripulivano attraverso ditte del Viterbese, per poi riportarlo in Calabria. In combutta con Alberto Corso, i fratelli Nucera avrebbero infatti investito oltre 600mila euro nelle ditte “Nucera Trasporti”, “Vitercalabra” e “Ortofrutta Ciminà”, da cui mensilmente sarebbe stata fatta arrivare a Gallicianò una quota di 7500 euro, più 50mila euro una tantum, che periodicamente dal Lazio veniva sarebbe stata inviata ad Antonio Nucera, incaricato di redistribuirli fra chi in principio aveva finanziato l’operazione.

Un meccanismo svelato dalle minuziose indagini della Dda, e avvalorato anche dalla viva voce dei protagonisti, che nel corso delle migliaia di conversazioni intercettate e messe agli atti del procedimento, non solo discutevano di affari, ma anche di regole, riti, affiliazioni e cariche. A guidare il locale erano – stando alle risultanze investigative – Giuseppe e Antonio Nucera, responsabili non solo della gestione interna del clan, ma anche dei rapporti con le altre ‘ndrine del territorio.


Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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