Strage di San Lorenzo del Vallo, dubbi sulla credibilità del super testimone
COSENZA E’ stata messa in dubbio la credibilità di Silas De Marco, oggi nell’aula di Corte d’assise di Cosenza. Lui, il super testimone, scampato alla strage che la sera del 16 febbraio 2011 ha segna…

COSENZA E’ stata messa in dubbio la credibilità di Silas De Marco, oggi nell’aula di Corte d’assise di Cosenza. Lui, il super testimone, scampato alla strage che la sera del 16 febbraio 2011 ha segnato la morte di sua madre Rosellina Indrieri e di sua sorella Barbara, è stato oggetto delle arringhe difensive degli avvocati Lucio e Carlo Esbardo e Luca Acciardi. Sul banco degli imputati, indicati come esecutori materiali dell’eccidio ormai noto come strage di San Lorenzo del Vallo, ci sono Domenico Scarola, 29 anni, e Salvatore Francesco Scorza, 33. Nei loro confronti, domani, verrà emessa la sentenza. Secondo il racconto di Silas furono loro a irrompere in casa De Marco intorno alle 20 di quel 16 febbraio, sfondando la porta con due colpi di fucile e una pedata e aprendo il fuoco contro la famiglia riunita in soggiorno a guardare la tv. Il capofamiglia Gaetano dormiva ubriaco in camera da letto, non si accorse di nulla, non venne cercato né raggiunto dai killer. Sarà Silas, gravemente ferito, a riuscire a raggiungerlo e svegliarlo. Sul posto verranno trovate le tracce di quattro armi: due fucili calibro 12, una mitraglietta uzi e una calibro 45, armi ritovate in un’auto data alle fiamme a qualche chilometro dalla casa. Gaetano De Marco verrà ucciso tre mesi dopo e Silas, nell’agosto del 2012 comincerà a parlare e a dichiarare che il commando era composto da due persone col volto coperto di cui una l’avrebbe riconosciuta dalla fisionomia, perché persona a lui nota, e l’altra dalle foto segnaletiche portate dagli inquirenti, per le sopracciglia. Secondo la difesa, però, il giovane non è attendibile. Troppe le versioni diverse della vicenda fornite nel corso del processo. Troppe le contraddizioni tra il suo racconto e quello della fidanzata Stefania, con la quale Silas si trovava al telefono al momento dell’agguato, o con la sorella Sandra. La difesa ha posto dubbi anche riguardo alla capacità di vedere che ebbe Silas, una volta colpito e caduto a terra. Secondo la ricostruzione dei fatti, quando i sicari entrarono nella stanza sparando, Silas alzò una sedia in aria per difendersi e offendere gli aggressori ma venne colpito alla mano e all’addome, quindi cadde a terra, riverso a faccia in giù mentre i killer inseguivano le due donne che avevano cercato riparo sul balcone. Silas, sostiene la difesa, si trovava a faccia in giù e col la vista coperta dal tavolo e dalla tovaglia. La difesa, inoltre, ha puntato il dito contro le carenze investigative, contro la mancanza dei tabulati telefonici tra Silas e Stefania e, non ultimo, ha posto il dubbio che i killer non potessero essere solo due, considerando che le armi usate erano quattro e che tutte hanno sparato.
ALLE ORIGINI DELLA STRAGE Domani, dopo la replica del pm, Vincenzo Luberto, la corte si riunirà in camera di consiglio per emettere la sentenza. Sarà un giudizio espresso sugli esecutori. Per quanto riguarda i mandanti, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, la strage sarebbe frutto di una vendetta trasversale per lavare col sangue la morte di Domenico Presta, 21 anni,figlio del boss Franco che all’epoca era latitante. A uccidere Domenico fu Aldo De Marco, fratello di Gaetano, che aveva un negozio di elettrodomestici vicino a quello del giovane Presta. I rapporti tra i due difficili. Il commerciante, stando alla sua testimonianza, si sarebbe rifiutato di pagare il pizzo e il figlio del boss e i suoi amici avrebbero cominciato a rendergli la vita un inferno. Gomme tagliate, danni al negozio, ingiurie e due pestaggi come monito contro le denunce che l’uomo regolarmente sporgeva ai carabinieri. Questo fino al 17 gennaio 2011 quando, al culmine dell’ennesima lite, Aldo prende la sua calibro 22 e spara al giovane Presta. Subito dopo va a consegnarsi ai carabinieri. Secondo l’accusa, allo scadere del trigesimo dalla morte di Domenico, il 16 febbraio, sarebbe stata portata a compimento la vendetta da parte dei due imputati, legati da stretti rapporti alla famiglia della vittima. Silas, che vive il località protetta, avrebbe deciso di parlare solo nell’agosto 2012, dopo la cattura del boss Franco Presta, avvenuta il 13 aprile 2012.
Alessia Truzzolillo