Arriva la prescrizione per don Nuccio Cannizzaro
REGGIO CALABRIA Un naufragio per la Procura, un successone per le difese. Cadono le accuse di mafia nei confronti degli imputati, si spalancano i cancelli del carcere per il boss Santo Crucitti, asso…

REGGIO CALABRIA Un naufragio per la Procura, un successone per le difese. Cadono le accuse di mafia nei confronti degli imputati, si spalancano i cancelli del carcere per il boss Santo Crucitti, assolto dall’accusa di associazione mafiosa insieme al nipote Antonino, e caduta l’aggravante mafiosa i giudici non possono che dichiarare il non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti dell’ex cerimoniere del vescovo don Nuccio Cannizzaro, imputato per falsa testimonianza.
Bisognerà attendere le motivazioni per comprendere cosa non abbia convinto i giudici, ma il dispositivo letto dal Tribunale di Reggio Calabria, presieduto da Andrea Esposito, non lascia spazio a interpretazioni: non regge l’impianto accusatorio sostenuto in dibattimento dai pm Stefano Musolino e Sara Ombra al processo Raccordo-Sistema. Alla fine, regge solo l’accusa di intestazione fittizia – non aggravata dalle modalità mafiose come contestato dalla pubblica accusa – nei confronti dei due Crucitti, condannati entrambi a scontare quattro anni di reclusione. Due anni con pena sospesa nei termini previsti dalla legge vanno invece a Loredana Barchetta, che – indica il dispositivo – non si vedrà neanche indicare la condanna nel casellario giudiziario. Per il resto, arriva una raffica di assoluzioni per gli altri imputati: Francesco Gullì, ex direttore della filiale reggina della Banca Popolare di Lodi accusato di aver permesso a Crucitti di operare una fitta serie di operazioni economiche e finanziarie necessarie per gli affari della “Planet Food”, la ditta attiva nel settore della grande distribuzione cittadina di cui Crucitti sarebbe stato il “dominus” occulto e per il quale la procura aveva chiesto 12 anni di reclusione, Nicola Pellicanò, ma anche Michele Crudo, Carmine e Domenico Polimeni, imputati in altri procedimenti come affiliati alla cosca Tegano. Non si deve procedere perché già coperto dalla prescrizione per il reato di falsa testimonianza semplice contestato a don Nuccio Cannizzaro e Consolato Marcianò.
Al centro del lungo dibattimento, scaturito dall’inchiesta coordinata dal pm Musolino, era finita non solo quella che l’accusa ha presentato come la cronaca dell’ordinaria vessazione imposta dal clan Crucitti, su mandato dei Condello-De Stefano-Tegano, sul periferico quartiere di Condera, ma anche l’impero economico di Santo Crucitti, imprenditore che avrebbe sfruttato il proprio carisma criminale per allungare i tentacoli nei più diversi rami di attività, dalle finanziarie alle palestre, dall’edilizia alla grande distribuzione. Un potere economico che avrebbe avuto un corrispettivo nel capitale sociale e relazionale accumulato da quello che gli inquirenti indicano come il boss di Condera. Dal boss Mario Audino – sotto la cui ala protettrice sarebbe cresciuto – all’ex assessore Dominique Suraci, oggi in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, dall’ex assessore comunale Pasquale Morisani, a nomi noti della finanza e dell’imprenditoria reggina, Crucitti è risultato essere in contatto con tutti. E su tanti di quelli chiamati in dibattimento come testimoni – aveva sottolineato il pm in sede di requisitoria – era sembrato in grado di continuare a esercitare la propria capacità di intimidazione. Ma al centro dell’inchiesta poi sfociata in dibattimento era finita anche la travagliata vicenda del testimone di giustizia Tiberio Bentivoglio, “reo” di aver costituito un’associazione, la Harmos, che sarebbe entrata in competizione con quella dell’ex assessore comunale Pasquale Morisani, Evelita, come con quella di don Nuccio Cannizzaro, la Laos, entrambe nel tempo beneficiate – è emerso dal dibattimento – da generose commesse e finanziamenti pubblici. Proprio a tutela di questo sistema don Nuccio Cannizzaro sarebbe intervenuto, fornendo allo storico difensore del boss Crucitti false dichiarazioni che lo avrebbero messo in salvo dalle precise denunce di Bentivoglio. Un reato che oggi non si può più giudicare, perché caduto sotto la tagliola della prescrizione.
Alessia Candito