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Processo Archi Astrea, pene severe ai colletti bianchi

REGGIO CALABRIA “Per tutte le posizioni si è superato ogni ragionevole dubbio che potrebbe precludere una condanna. Non esistono elementi per sostenere una ricostruzione diversa, ma tutti i passaggi…

Pubblicato il: 29/07/2014 – 20:26
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Processo Archi Astrea, pene severe ai colletti bianchi

REGGIO CALABRIA “Per tutte le posizioni si è superato ogni ragionevole dubbio che potrebbe precludere una condanna. Non esistono elementi per sostenere una ricostruzione diversa, ma tutti i passaggi confermano la correttezza dell’impostazione adottata”. Così in mattinata, il pm Giuseppe Lombardo aveva chiesto la conferma delle richieste di pena avanzate in sede di requisitoria nei confronti degli imputati al processo ordinario Archi Astrea, scaturito dall’inchiesta che ha svelato come il clan Tegano abbia messo le mani sulla più grande municipalizzata della città. Un procedimento – aveva sottolineato il pm in sede di requisitoria – che ha fatto emergere «con chiarezza la strategia sofisticata, sottile, adottata, cioè quella strategia della ‘ndrangheta delle mezze figure, mezze buone e mezze cattive, a volte bianche a volte nere, che guardate a distanza diventano grigie, della ‘ndrangheta che entra in società con lo Stato, della ‘ndrangheta che controlla i servizi pubblici, della ‘ndrangheta che interloquisce con la pubblica amministrazione, della ‘ndrangheta che cerca di aggiustare i processi, in poche parole della ‘ndrangheta che governa ampie fasce di territorio nazionale. Questa è la ‘ndrangheta del terzo millennio, questa è la ‘ndrangheta dotata di strategie raffinate, in cui si abbandona l’apparenza di regole e santini e si punta su soggetti che sono possono spogliarsi di una serie di orpelli visibili, di particolari, riconoscibili incrostazioni mafiose, per trasformarsi in imprenditori di successo». E per questo pesantissime erano state le richieste di condanna. Ma le richieste del pm Lombardo solo in parte sono state soddisfatte dal collegio presieduto dal giudice Campagna, che fra gli imputati del processo Archi Astrea ha distribuito anche clamorose assoluzioni.

 

LE RICHIESTE Assolto Michele Franco, presunto responsabile per il clan Tegano di Santa Caterina per il quale il pm aveva chiesto 22 anni di reclusione e 15mila euro di multa. Medesima decisione arriva anche per i fratelli Antonio e Giovanni Rehichi, accusati dalla Procura di essersi prestati a fare da prestanome per società che l’accusa considera interamente riconducibili ai Tegano e per i quali il pm aveva chiesto 8 anni, ma anche per il cognato dell’ex talpa dei servizi Giovanni Zumbo, Roberto Emo, per il quale il pm aveva chiesto 9 anni. Arriva invece una condanna a 12 anni per Domenico Polimeni, ritenuto elemento di spicco del medesimo clan, mentre è di 15 anni e duemila euro di multa la pena inflitta a Silvio Giuseppe Candido. Sono invece 11 gli anni di carcere inflitti all’anziano boss Giovanni Tegano, punito anche con 2mila euro di multa, considerato la mente e il regista dell’operazione di infiltrazione che avrebbe portato gli arcoti nel cuore della municipalizzata più grande della città, la Multiservizi, mentre è di  9 anni 6 mesi e 2mila euro di multa  la pena comminata al suo uomo di fiducia, Carmelo Barbaro. Ma pene severe sono state inflitte anche ai colletti bianchi che avrebbero reso tecnicamente possibile al clan la colonizzazione della società mista, come pure per coloro che si sarebbero prestati come “teste di legno” per nascondere affari e interessi del clan. Sei anni, sei mesi e 2mila  euro di multa sono stati inflitti a Rosario Rechichi, fratello dell’ex direttore operativo di Multiservizi, giudicato in abbreviato e condannato come affiliato ai Tegano. Cinque anni e sei mesi sono andati invece ai fratelli Maurizio e Antonio Lavilla.

 

L’INDAGINE Una sentenza composita, quasi indecifrabile, bisognerà attendere le motivazione per comprendere cosa non abbia convinto il collegio, tuttavia sembra aver sostanzialmente tenuto l’impianto accusatorio costruito dal pm Lombardo. L’indagine coordinata dal pm Giuseppe Lombardo ha svelato come il clan Tegano si sia per anni celato all’interno della compagine sociale della società mista Multiservizi, grazie al supporto di compiacenti prestanome che nel tempo si sono avvicendati alla guida delle società schermo del clan. Una verità che diversi pentiti – Giovambattista Fracapane, Paolo Iannò – avevano, nel corso degli anni già affermato, ricostruendo con sicurezza la mappa delle società del Comune finite in mano alle cosche, ma alla quale l’indagine condotta dalla Dda di Reggio Calabria, fornisce riscontri concreti. Riscontri che chiamano in causa quella cosiddetta “borghesia mafiosa” che ha permesso alla `ndrangheta di accedere al cuore economico della città: la pubblica amministrazione e il giro d’affari che attorno ad essa ruota. Protetti da un sistema complesso di scatole cinesi, i boss anche dal carcere avrebbero continuato a tenere saldamente in mano le redini delle imprese partner della Multiservizi. O meglio dell’impresa. Perché le società Com.Edil Srl, Si.Ca srl e Rec.im Srl, nonostante negli anni abbiano formalmente cambiato nomi e proprietari, da sempre – dicono le risultanze investigative – risponderebbero a una medesima identità economica e gestionale, quella del clan Tegano. Del resto, Giovanni Tegano, l’anziano boss da tempo in carcere, poteva infatti disporre non solo di picciotti e gregari, come i Lavilla o i Rechichi, che si sarebbero tramandati la fedeltà e il ruolo da prestanome del clan. Ma anche e soprattutto, di quei professionisti che hanno costruito il labirinto contabile utile per lungo tempo a depistare gli investigatori.

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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