Lo strano caso del consiglio regionale calabrese, decaduto ma iperattivo, finisce sotto la lente del Fatto quotidiano che, nell’edizione on line stamani fa la cronistoria politica calabrese dei 4 mesi passati dopo le dimissioni del presidente Scopelliti. L’articolo, firmato da Antonio Massari, ripercorre le scelte di un consiglio regionale che, piuttosto che concentrarsi sulla “somma urgenza”, avvia provvedimenti come se l’ex governatore fosse ancora in carica.
Il primo punto affrontato da Massari riguarda la defenestrazione dei tre revisori dei conti, Pasqualino Saragò, Guido Boccalone e Cosimo Forgione. «L’8 agosto, spulciano tra le spese – ben 3,8 milioni di euro – che hanno osato bocciare. Di scartoffia in scartoffia – si legge nell’articolo del Fatto – rinchiusi nel Dipartimento del Bilancio, raccolgono tutto e poi rileggono la legge che li riguarda, quella emanata il giorno prima, votata dal consiglio regionale il 7 agosto: li hanno appena defenestrati dal loro ufficio. I tre revisori, da 24 ore, non contano più nulla. E allora scrivono anche alla Guardia di finanza, e alla Corte dei conti, segnalando “sommessamente” che quel consiglio regionale – ancora in piedi, dopo ben quattro mesi dalle dimissioni dell’ex governatore, Giuseppe Scopelliti – può trattare “esclusivamente argomenti di somma urgenza”».
Scrive ancora Massari: «Il segretario generale del consiglio regionale, Pietro Calabrò, è l’uomo chiave di tutta la vicenda: è lui, infatti, che firma il parere determinante, quello che consente di disarcionare i tre revisori. E i 3,8 milioni da distribuire tra gli impiegati della Regione – secondo Calabrò – in questa storia non c’entrano nulla».
In sostanza, piuttosto che preoccuparsi delle priorità della Calabria, il consiglio regionale calabrese retto ora dalla facente funzioni Stasi, cercherebbe ancora di svolgere attività ad personam.
Tornando ai revisori, secondo Calabrò «era sbagliata la legge che li aveva nominati e noi dovevamo cambiarla: i tre revisori sono decaduti solo dopo un’ordinanza del Tar». Legge, che tra l’altro aveva partorito lo stesso consiglio regionale che adesso la cita come «sbagliata».
«Per una diabolica coincidenza – scrive il giornalista del Fatto Quotidiano – la modifica arriva appena 12 giorni dopo la stroncatura, firmata dai tre revisori, delle determine di spesa, firmate proprio da Calabrò, che stanziavano i 3,8 milioni da distribuire ai dirigenti per l’anno 2013».
Ancora da attuare invece, sono le modifiche alla legge elettorale, rispedita indietro dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. «E qui, per capire il fenomeno – si legge ancora sul Fatto – bisogna risalire alla fine di marzo, quando Scopelliti viene condannato a sei anni di carcere, in primo grado, per un abuso d’ufficio commesso quand’era sindaco di Reggio Calabria. La legge Severino è chiara: deve dimettersi e, di conseguenza, si dovrebbe tornare a votare. Già, ma perché affrettarsi? Per formalizzare le dimissioni, Scopelliti, c’impiega circa un mese e soltanto il 3 giugno il Consiglio prende ufficialmente atto della situazione».
Il 3 giugno, con tutta calma, Scopelliti si dimette e il Consiglio decide di approvare la nuova, quanto incostituzionale, legge elettorale. Nonostante il presidente del Consiglio Talarico cerchi di paragonare il testo calabrese all’Italicum, le soglie anti M5S previste dai luminari calabresi alzano lo sbarramento al 15% (contro il 12% nazionale) per la coalizione e portano al 60% (contro il 55% nazionale) il premio di maggioranza.
A fronte di questo marasma politico, e con le elezioni in autunno, la legge elettorale non è stata modificata. «Intanto i tre revisori – scrive in chiusura del pezzo Massari – hanno spedito alla Finanza e alla Corte dei conti una relazione infiammata: con quei 3,8 milioni da distribuire ai dirigenti, secondo loro, “si continuerebbe a perpetrare il danno erariale all’Ente ipotizzato dagli ispettori del ministero dell’Economia e delle Finanze”. Se non bastasse, denunciano che “il fondo è stato già erogato” per circa 2 milioni».
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