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REGGIO CALABRIA Scampati al mare dopo un viaggio da incubo, pochissimi hanno scelto di richiedere asilo in Italia e oggi attendono che la commissione esamini i documenti che li renderanno ufficialmen…

Pubblicato il: 05/09/2014 – 10:21
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REGGIO CALABRIA Scampati al mare dopo un viaggio da incubo, pochissimi hanno scelto di richiedere asilo in Italia e oggi attendono che la commissione esamini i documenti che li renderanno ufficialmente rifugiati politici o di guerra. I più invece, al Boccioni come allo Scatolone – le due strutture che la Prefettura di Reggio Calabria ha deciso di adibire a centri d’accoglienza – restano il meno possibile. Giusto il tempo di riprendersi dalle fatiche della traversata per mare, riposare, metabolizzare di avercela fatta, di essere sopravvissuti a quel Mediterraneo che mai avrebbero immaginato così crudele, minaccioso, ostile quando era solo uno sfondo lontano, che si intravedeva da traverse e finestre. «Inizialmente arrivavano in 200, massimo 500, ma quest’anno siamo arrivati a gestire oltre 1700 persone. Non tutti rimangono a Reggio. Tra lo Scatolone e il Boccioni, contiamo al massimo 400 posti. Sarebbe impossibile ospitarne di più in maniera consona». Da coordinatore della Protezione civile a Reggio, l’architetto Pino Alampi è la memoria storica della cosiddetta emergenza migranti. Fin dal marzo scorso, sul piano operativo è stato infatti l’interlocutore numero uno della prefettura quando dal Viminale o dalla Capitaneria arrivava la segnalazione di barconi in arrivo. «Il nostro primo intervento è al porto. La maggior parte degli stranieri viene infatti soccorsa in mare dalle unità inquadrate nell’operazione “Mare nostrum” – la nave Etna, la San Giorgio, la Vega, la San Giusto – meno frequentemente i barconi arrivano fino in Calabria. In un caso, abbiamo avuto tre sbarchi in un’unica giornata. Erano tutti siriani in fuga dalla guerra». Tecnicamente, Ahmed è un clandestino. Per le autorità italiane è un fantasma. Quando è arrivato – su un barcone intercettato al largo di Roccella jonica – non aveva nessun documento con sè. Gli scafisti libici cui si è rivolto per attraversare il Mediterraneo gli hanno sequestrato passaporto, carta d’identità, documenti e qualunque cosa potesse renderlo riconoscibile. Lo hanno obbligato a essere un fantasma. «Non hai scelta, se vuoi partire devi fare come dicono loro. E loro, purtroppo, sono l’unica opzione per venire in Europa». Trentacinque anni, di cui la maggior parte passati a lavorare da ebanista e carpentiere, Ahmed non poteva né voleva rimanere a Jadida, città affacciata sull’Atlantico, meno nota e meno ricca di Rabat e Casablanca. «Mia sorella è da tempo in Italia, lavora, ha una casa, può darmi una mano. In Marocco è sempre più difficile vivere lavorando onestamente, per questo ho deciso di partire. Ho provato a farlo in maniera regolare, chiedendo un visto, anche solo turistico, ma è stato praticamente impossibile». 

Nell’estate degli sbarchi record, quella dei minori non accompagnati è una tragedia nella tragedia, silenziosa, nascosta agli occhi dei più, ma che quotidianamente si consuma sui moli del sud Italia divenuti per tanti popoli in fuga frontiera fra la sopravvivenza e l’esistenza. Una tragedia cui – faticosamente, in assenza di mezzi e strutture adeguate – qualcuno cerca di fare fronte. A Reggio Calabria è una già oberata Procura dei minori a essere schierata in prima linea in questa battaglia, che riempie gli uffici di fascicoli, satura le linee di chiamate d’emergenza e lascia il segno anche sul volto stanco ma determinato del magistrato Carlo Macrì. Sulle sue spalle, oltre alla ordinaria amministrazione, grava la gestione delle centinaia di minori approdati in Calabria negli ultimi mesi. «Il problema dell’emigrazione di minori non accompagnati nella nostra terra – dice Macrì da dietro una scrivania inondata di carte, note, comunicazioni – dura ormai da diversi anni. Fino all’anno scorso, nella fase successiva agli sconvolgimenti provocati dalle primavere arabe, in molti arrivavano dalla Libia, come dall’entroterra africano, alcuni somali ed eritrei più una componente afghana». (0050)

 

 

(Il servizio di copertina a firma di Alessia Candito è pubblicato sul numero 166 del Corriere della Calabria in edicola fino all’11 settembre)

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