L'Antimafia propone il suo "codice" ai partiti
LAMEZIA TERME Fosse stato approvato prima delle ultime consultazioni elettorali e, soprattutto, fosse stato vincolante per tutti gli aspiranti rappresentati del popolo italiano a Strasburgo, i partit…

LAMEZIA TERME Fosse stato approvato prima delle ultime consultazioni elettorali e, soprattutto, fosse stato vincolante per tutti gli aspiranti rappresentati del popolo italiano a Strasburgo, i partiti tutti avrebbero probabilmente avuto non poche difficoltà a chiudere le liste senza scontentare nessuno fra correnti, potentati, aree di interesse, feudi e scuole di pensiero desiderose del proprio personalissimo posto al sole. Difficoltà che potrebbero riproporsi oggi qualora i partiti decidessero di aderire al nuovo codice di autoregolamentazione messo a punto dalla Commissione parlamentare antimafia. Un’iniziativa annunciata dalla presidente Rosy Bindi, poco dopo l’allarme lanciato dal procuratore capo della Dda reggina, Federico Cafiero de Raho che da mesi afferma senza mezzi termini: «La ‘ndrangheta ancora comanda e controlla il territorio in modo talmente pressante da condizionare l’espressione del voto. Il nostro sforzo per le prossime elezioni sarà di sostenere il voto libero attraverso controlli frequenti che possano consentire al cittadino di esprimersi liberamente e di ostacolare forme di condizionamenti e di intimidazioni da parte della ‘ndrangheta».
Un grido d’allarme ripetuto di recente anche in Commissione parlamentare antimafia e che non deve essere passato inosservato se è vero che il nuovo codice di autoregolamentazione introduce un radicale giro di vite rispetto a quelli nel tempo introdotti per i diversi tipi di consultazione elettorale. Al riguardo – si legge nel testo – «la Commissione ritiene opportuno ritornare sulla materia, proponendo, da un lato, che vi sia un sistema unico valevole per tutti i casi di elezione di organi rappresentativi; dall’altro, che la soglia di autotutela da parte dei partiti e dei movimenti politici contro il rischio di inquinamento delle liste elettorali possa essere ulteriormente elevata aderendo alle previsioni del codice di autoregolamentazione predisposto dalla Commissione parlamentare di inchiesta antimafia».
Un testo decisamente più restrittivo dei precedenti, che qualora fosse adottato rischierebbe di creare non pochi problemi ai demiurghi delle candidature calabresi. Per i parlamentari antimafia, devono infatti rimanere fuori non solo dalle liste dei partiti, ma anche da quelle ad esse collegate, tutti gli aspiranti candidati nei cui confronti sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o la chiamata diretta a giudizio, oppure che abbiano incassato una condanna di primo grado. Un inasprimento delle precedenti norme – che suggerivano di escludere coloro nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ovvero sia stata emessa misura cautelare personale non revocata né annullata, ovvero sia stato emesso decreto di applicazione di misure di prevenzione personali o patrimoniali o che si trovino in stato di latitanza o di esecuzione di pene detentive – destinato a piacere poco.
Allo stesso modo, è probabile che in molti difficilmente riescano a digerire il principio che estende l’incandidabilità in ogni competizione elettorale, quanto meno per una tornata elettorale, a coloro che hanno ricoperto la carica di sindaco o di componente delle rispettive giunte in comuni, consigli provinciali sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare, come ai condannati con sentenza anche non definitiva di primo grado per danno erariale per reati consumati o tentati commessi nell’esercizio delle funzioni proprie della carica elettiva. Sul punto, i parlamentari della commissione hanno voluto essere precisi, indicando espressamente come reati ostativi a una candidatura concussione, corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio ,corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio, istigazione alla corruzione, come pure peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri.
Indicazioni che si aggiungono a quelle che consigliano di tenere fuori dalle liste anche coloro che siano stati condannati anche in primo grado per agevolazione ai detenuti e internati sottoposti a particolari restrizioni delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario, scambio elettorale politico-mafioso, estorsione, usura, riciclaggio e impiego di danaro, beni o utilità di provenienza illecita, fraudolento trasferimento di valori e omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali da parte delle persone sottoposte ad una misura di prevenzione, associazione mafiosa e delitti aggravati dalle modalità mafiose, come pure per attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. In sintesi dunque, il codice anticipa la fase di incandidabilità all’atto dell’emanazione del decreto di applicazione della misura personale e patrimoniale, introduce come condizione ostativa alla candidatura la condanna in primo grado per una serie di reati e l’aver fatto parte in qualità di sindaco o assessore di comuni o consigli provinciali sciolti per mafia. Indicazioni – si preoccupano di evidenziare i parlamentari – che devono valere anche per «le nomine di competenza dei presidenti delle regioni e delle province, nonché dei sindaci delle città metropolitane e dei comuni».
Non si tratta di norme obbligatorie o vincolanti, «la politica – si spiega nel testo – deve infatti assumere il ruolo centrale di garante anticipato della collettività, già nella fase di individuazione dei candidati, contro il rischio di infiltrazione della criminalità organizzata in qualunque assemblea elettiva». Il codice – si specifica – «è soggetto ad adesione volontaria e la mancata osservanza delle disposizioni o anche la semplice mancata adesione allo stesso non dà luogo a sanzioni, semmai comporta una valutazione di carattere strettamente etico e politico nei confronti dei partiti e formazioni politiche», tuttavia, stando all’articolo 3 coloro che volessero ignorare le prescrizioni «devono rendere pubbliche le motivazioni della scelta di discostarsi dagli impegni assunti con l’adesione al presente codice di autoregolamentazione».
A vigilare sul rispetto del codice sarà la stessa commissione che «reputa necessario verificare la rispondenza della composizione delle liste elettorali alle prescrizioni del presente codice, nei confronti di chi vi aderisce, nell’ambito dei poteri ad essa conferiti e dei compiti previsti dalla legge istitutiva».
Che sia minaccia o promessa, dipenderà dagli alchimisti delle candidature, che in passato più volte hanno dato prova di funambolismo inserendo “impresentabili” in liste formalmente “mafia free”.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it