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Villaggio turistico abusivo, rinviati a giudizio

REGGIO CALABRIA Dovranno presentarsi tutti di fronte ai giudici del tribunale di Locri Carmelo Borello, Antonio Cuppari, Francesco Iorfrida, Antonino Iriti, Antonino Sebastiano Toscano e Domenico Vit…

Pubblicato il: 09/10/2014 – 18:25
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Villaggio turistico abusivo, rinviati a giudizio

REGGIO CALABRIA Dovranno presentarsi tutti di fronte ai giudici del tribunale di Locri Carmelo Borello, Antonio Cuppari, Francesco Iorfrida, Antonino Iriti, Antonino Sebastiano Toscano e Domenico Vitale, perché a vario titolo ritenuti responsabili della costruzione dell’eco-mostro “Gioiello del mare”. Una struttura che sulla carta sarebbe dovuta essere un complesso edilizio destinato al turismo, in realtà, secondo l’accusa, una colata di cemento e mattoni costruita direttamente sulla spiaggia di Brancaleone. L’ecomostro, secondo la Procura, sarebbe stato totalmente abusivo e sarebbe stato realizzato da uomini legati ai clan Aquino e Morabito per riciclare l’enorme mole di liquidità frutto dei traffici illeciti. Il gup Antonio Laganà ha ritenuto valido l’impianto accusatorio costruito dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri e il pm Paolo Sirleo e per questo ha rinviato a giudizio sei soggetti accusati non solo abuso d’ufficio e falsità ideologia commessa, aggravati dalle modalità mafiose ma anche reati paesaggistici e urbanistici. Per gli inquirenti infatti, la struttura sarebbe stata realizzata grazie all’improprio rilascio di alcuni permessi, che non avrebbero tenuto conto di alcun vincolo paesaggistico col preciso intento di agevolare i clan Aquino e Morabito che – come svelato dall’inchiesta “Metropolis”, di cui tale procedimento rappresenta uno stralcio – nel progetto di convertire l’enorme liquidità proveniente da traffici di più varia natura per cementificare la costa jonica reggina.
Stando a quanto emerso dalle indagini, a permettere la costruzione dell’ecomostro sarebbe stata la variante urbanistica attraverso cui un terreno originariamente destinato a fini agricoli, si sarebbe convertito, su una presunta richiesta dei clan ad area con finalità turistiche-residenziali. Una pratica illegittima che per la Procura avrebbe permesso «la realizzazione di opere abusive di imponente portata dimensionale, parte delle quali anche in zona sottoposta a vincolo paesaggistico» e di cui tutti i sei indagati sarebbero responsabili. Il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Brancaleone Domenico Vitale avrebbe infatti rilasciato il permesso di costruire richiesto da Cuppari – formale committente dell’opera ma per gli inquirenti soprattutto un soggetto che sarebbe stato affiliato ai clan – sulla base del progetto Iriti e Toscano. Solo qualche mese più tardi, con parere favorevole dello stesso Vitale, sarebbe arrivata però la delibera con cui il consiglio comunale di Brancaleone convertiva attraverso una variante urbanistica la destinazione d’uso del terreno, trasformando un’area agricola in una zona turistico-ricettiva, in barba – stando alla tesi dell’acccusa – a qualsiasi vincolo paesaggistico e ambientale.
Ma il “Gioiello del mare” sarebbe solo uno degli immobili al centro del business messo in piedi dai due clan – che con la connivenza di facoltosi imprenditori anche stranieri avrebbero controllato direttamente 17 villaggi turistici, 1.343 unità immobiliari, 12 società – ma probabilmente quello che è costato loro di più. E non solo in termini di capitale investito.
A mettere gli inquirenti sulle tracce del business milionario – che le famiglie Aquino e Morabito avrebbero messo in piedi per ripulire gli enormi flussi di denaro proveniente dal traffico di “bianca” – è stato un controllo occasionale su un’auto proveniente dall’Albania effettuato da due finanzieri di Bari. A bordo non solo c’erano quattro soggetti di San Luca, già noti alle forze dell’ordine, ma soprattutto le planimetrie del complesso turistico-alberghiero “Gioiello del mare”, riconducibile alla Metropolis 2007 srl. Un particolare che avrebbe acceso l’interesse investigativo degli inquirenti che per anni hanno battuto la pista dell’edilizia turistica e residenziale fino a scoprire la presunta rete tessuta attorno a sé da Rocco Morabito, figlio del boss Peppe “Tiradritto”. Un tycoon criminale per gli inquirenti, che sarebbe stata capace di tessere attorno a una fitta rete di interessi, operazioni e affari che avrebbero garantito ai clan il mantenimento del consenso, grazie all’utilizzo di manodopera locale per le costruzioni, ma soprattutto lauti guadagni grazie ai compratori stranieri di ville e appartamenti.
Una figura che probabilmente sintetizza al meglio il significato di questa indagine, prova di una ‘ndrangheta non solo capace di proiettarsi sul piano internazionale, ma in grado di evolvere e giocare un ruolo sempre diverso e al passo con i tempi e con i mercati. E per questo sempre più pericolosa.

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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