Solo dopo il 7 gennaio, data fissata per la seduta di insediamento del nuovo Consiglio regionale della legislatura 2014-2019, il “nuovo corso” comincerà ad espletare i suoi effetti anche sotto il profilo formale. Il rinvio della seduta, inizialmente prevista per il 29 dicembre, ha suscitato perplessità e critiche. Ciò si è verificato tra singoli “stati influenzali” – comunicati e accettati per il cosiddetto “gentlemen’s agreement” – tra “doppie verità” e tattiche incomprensibili. Alla fine, la seduta è stata traslata anche se, come afferma il neo consigliere regionale Orlandino Greco, questo rinvio non ha significato inattività in quanto i nuovi componenti della massima assemblea calabrese «sono sul territorio» per rendersi conto delle diverse, molteplici criticità che riguardano il nostro territorio, ovvero percepire e comprendere «le scottanti problematiche delle comunità calabresi».
Questa apprezzabile dichiarazione di volontà sembra essere indicativa di una reale voglia di fare e di operare bene per risollevare le sorti di una Regione che ha necessità immediata di essere inserita in un processo di reale, profondo cambiamento, per «invertire la rotta della nostra terra».
Non illudiamoci, comunque, che la situazione sia semplice. La Calabria è «in ginocchio e la condizione sociale è davvero difficile, c’è un allargamento dell’area della povertà”. In questa affermazione recente del Governatore–Presidente Oliverio c’è la consapevolezza di un impegno e di una sfida che “non è ‘ordinaria”, una sfida che si può vincere solo attraverso un “cambiamento nel sistema di rapporto tra Istituzioni e Cittadini”. Il che significa anche che occorre recuperare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Compito arduo, soprattutto se si pensa a secoli di storia.
In che direzione prevedere, dunque, questo cambiamento? Occorre una progettualità gestita secondo i criteri della programmazione, dell’efficienza e della trasparenza per iniziare una vera, nuova stagione di cambiamento. E nella nostra Calabria, che vive una situazione di profonda, grave emergenza economica e sociale, «assediata dalla precarietà e dalla disoccupazione», mai come oggi la politica deve diventare progettuale.
È stato detto: «Il futuro si anticipa e non si aspetta». In questo senso occorre certamente procedere alla identificazione del nuovo in maniera seria e coerente, perché effettivamente, come è stato ricordato, nella nostra regione si avverte il bisogno di «un reale progetto di modernizzazione guidato dalla politica, ma non gestito solo dalla politica».
Fino a oggi, negli ultimi decenni, al di là del rinvio del Consiglio del 29 dicembre, i destini politici della Calabria sono stati giocati tra gruppi ristretti, tra destra centro e sinistra che, spesso, hanno dato prova di refrattarietà a occuparsi delle reali, gravi emergenze regionali. Che sono, poi, le stesse emergenze nazionali che si presentano nella nostra regione in maniera esponenziale: lavoro, sanità, sistemazione idrogeologica rifiuti, utilizzo dei fondi europei. Ci attendiamo su questi temi una politica accorta che sappia infondere nei calabresi il senso di una gestione che ragioni concretamente sui problemi ai fini di una loro soluzione. E se questo si darà anche la società potrà cambiar atteggiamento nei confronti della politica.
Un cambiamento complessivo della mentalità di fare politica così da considerare quest’ultima come strumento per dare e non per ricevere, una politica che abbandoni il lavorio per le poltrone per privilegiare i contenuti, per fare contare di più e meglio la società civile calabrese rispetto agli apparati, coinvolgendo le risorse umane e di pensiero disponibili per ridare voce a valori che altrimenti rischierebbero di essere definitivamente cancellati.
Innanzitutto bisogna effettivamente rifondare in Italia ma soprattutto nella nostra regione una nuova cultura politica, che sia ispirata dal principio del bene pubblico e che, quindi, tuteli e promuova ciò che è utile a tutti, rimodellando l’impegno pubblico/amministrativo sul valore del potere come funzione/servizio, restituendo, così, all’etica nella politica non l’attributo di optional semplicemente accessorio, ma di essenziale, costitutivo elemento. Per troppi anni etica e politica sono state separate e solo nei periodi di crisi si torna a invocare la necessità di recuperare valori e principi e a parlare di politica in termini di funzione e non di potere. Le parole del presidente Oliverio vanno in questa direzione quando afferma che è necessario un recupero etico della funzione pubblica e un sistema pubblico-privato che disegni modelli che non scindano ma legano tutele, valorizzazioni e innovazione. In questa ottica occorre nella nostra regione procedere a una riconsiderazione dell’idea del bene comune, nella consapevolezza che, accanto alla necessaria identificazione del nuovo sia necessario anche considerare la tutela delle categorie più deboli per far emergere un cambiamento che si accompagni alla solidarietà.
In questa direzione è condivisibile quanto sostiene il presidente Oliverio che occorre «cercare apporti più larghi possibili di forze, energie, organizzazioni che possano dare un contributo» a cominciare dalla Chiesa e dalle molteplici attività che vivono e si sviluppano all’interno della comunità ecclesiale calabrese. E non sembra casuale il fatto che, proprio in questi giorni, il vescovo di Cassano Ionio e segretario della Cei, monsignor Galantino, per il 2015 abbia ricordato che occorre «più Vangelo, più carità, più solidarietà», più senso di responsabilità da parte di chi ha compiti di guida. Auspica il vescovo più scrupoli e attenzione alle cose che si debbono fare e alle risposte che si debbono dare, ma sopratutto auspica che venga meno quella conflittualità per motivi ideologici, o partitici che porta alla emarginazione della gente comune. L’auspicio è che, dal 7 gennaio in avanti, si avvii e si consolidi il riscatto della nostra regione, oltre gli “accorduni”, che altro effetto non hanno se non quello di cambiare tutto perché tutto rimanga così com’è.
E questo non sarebbe né giusto né opportuno per un territorio che deve uscire, per superare le lacerazioni e i conflitti sociali attuali, dal sottosviluppo ed incamminarsi sulla prospettiva della crescita.
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