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Omicidio Quirino, chiesti 12 anni per Crisalli

REGGIO CALABRIA È di dodici anni e dieci mesi la richiesta avanzata dal pm Sara Amerio per Natale Crisalli, accusato di tentato omicidio, minacce e porto d’arma da fuoco, reati tutti aggravati dal me…

Pubblicato il: 16/01/2015 – 17:16
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Omicidio Quirino, chiesti 12 anni per Crisalli

REGGIO CALABRIA È di dodici anni e dieci mesi la richiesta avanzata dal pm Sara Amerio per Natale Crisalli, accusato di tentato omicidio, minacce e porto d’arma da fuoco, reati tutti aggravati dal metodo mafioso in relazione alla morte di Franco Fabio Quirino, l’imputato del processo “Alta Tensione” ucciso, nello scorso marzo, con tre colpi alla schiena pochi giorni prima dalla sentenza. È invece di un anno e cinque mesi la richiesta di pena avanzata dal sostituto procuratore per Rocco Richichi, difeso dall’avvocato Fabio Tuscano, formalmente accusato di concorso in detenzione e porto di arma da fuoco e minacce, aggravate dalla modalità mafiosa.

 

L’INDAGINE
Nel luglio scorso, gli investigatori erano riusciti a incastrare Crisalli anche grazie alla testimonianza dell’ex moglie di Quirino, Rosaria Nicolò, che accorsa in ospedale, non appena saputo dell’agguato subìto dal marito, agli investigatori aveva spiegato: «Ci siamo rivisti stasera, intorno alle 20, al bar di mia proprietà, quando lui è venuto un pò brillo e si è tolto il giubbotto, mostrandomi e guardando la parte posteriore dello stesso in cui si notavano alcuni forellini, dicendomi: “quel pezzo di merda mi ha sparato”. Io gli ho chiesto chi e lui mi ha detto che era stato Natale Crisalli, abitante nelle palazzine basse del rione Modena a cagione di una lite che avevano avuto in mattinata. Poco dopo affermava di volerlo andare a trovare per “fargli una faccia tanta”». E sarà proprio Crisalli, interrogato la stessa notte dell’omicidio dai carabinieri, a rivelare il motivo della lite: «Le mie controversie con Quirino Franco Fabio sono iniziate l’altro ieri, quando mi ha incontrato per caso lungo la via pubblica, mentre ero in compagnia di un mio amico: Pizzimenti Antonino, nei pressi del “Dolce Forno”, aggredendomi verbalmente, accusandomi di essere un infame, carabiniere e sbirro (amico di Maugeri) e minacciandomi di morte». Appellativi che diventano offese nel rione Modena di Reggio Calabria. Se infatti – stando al racconto dell’indagato – Quirino lo avrebbe nuovamente incontrato il giorno successivo, invitando l’uomo che lo accompagnava in auto – Rocco Richichi, oggi accusato di concorso in detenzione e porto di arma da fuoco e minacce – a investire Crisalli, quest’ultimo non avrebbe esitato a recarsi alla «”villetta” (lungo la strada che porta a Ciccarello, dove si trova una casetta, ricovero degli attrezzi dei giardinieri, ndr), ove in passato avevo notato – ha raccontato ai militari – essere stata nascosta una pistola che ho recuperato e portato con me, dopo avere verificato essere carica», ma soprattutto a utilizzare quell’arma. Alle minacce di Quirino, Crisalli avrebbe risposto sparando, a suo dire in aria ed escludendo «di avere mirato e quindi di averlo colpito, anche perché se avessi voluto lo avrei fatto quando era vicino, potendolo uccidere».

 

ALIBI CLAUDICANTE. IL DURO GIUDIZIO DEL GIP
Una versione cui inquirenti e investigatori hanno creduto poco o nulla e che sarebbe stata smentita da altri testimoni. «Il tentativo di omicidio – scriveva già il gip nel fermo a carico di Crisalli, poi convertito in ordinanza di custodia cautelare – ha giustificato una reazione pari e contraria del Quirino che ha tentato – platealmente – con un’accentuazione dei toni e dei modi dettati dalla necessità di dare visibilità estrema alla sua condotta pur di ripristinare l’onore criminale ferito dalla messa in fuga a cui l’aveva costretto poco prima il Crisalli». Circostanze che – in chiave sociale, prima ancora di penale – già il gip aveva valutato con durezza. «I valori impliciti che hanno mosso gli attori della vicenda – si leggeva nel fermo – risiedono, infatti, tutti nella necessità non solo di affermare la propria prevalenza criminale sull’altro, ma anche di farlo con modalità plateali, funzionali a implementare l’intimidazione collettiva e così affermare il predominio non solo sul contendente, ma sull’intera scena sociale». Ma soprattutto, sottolineava il gip, «il tema dominante delle aggressioni monitorate, infatti, risiedeva nella volontà di affermarsi ed essere riconosciuti come i principali referenti criminali del territorio, sfidando così tutte le regole di prudenza anche nella consumazione dei delitti perché proprio l’efferatezza della condotta è in grado di meglio esprimere la capacità di controllo del territorio e di assoggettamento. E, in una terra e per una collettività gravemente prostrata da anni di efferati delitti e proterve prove di forza della ndrangheta, le condotte descritte assumono una rilevanza e una eclatanza sociale che esprime e descrive a tutto tondo i caratteri tipici delle modalità mafiose».

a.c.

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