È partito come se avesse dovuto fare una relazione di normale portata, importante, ma di impatto immediato. Invece, man mano che il tempo passava, pur tra qualche sospiro dai banchi dell’opposizione e qualcuno della maggioranza, il presidente della giunta regionale Mario Oliverio ha letto le sue ottantaquattro pagine, impiegando due ore e poco più, senza scomporsi. Qualche bicchiere d’acqua, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il fazzolettino, qualche sguardo all’aula e alla tribuna stampa. Poi la lettura di quel che costituisce il suo programma di governo. Un programma concordato con gli assessori e con la maggioranza, ma vergato di getto dalla sua pluriennale esperienza al Parlamento, alla Regione, negli enti locali.
Non c’è stato argomento che non abbia trattato. Ha parlato degli impegni, delle sfide che l’attendono, dei bisogni e delle speranze dei calabresi. A suo parere, però, la Regione deve basarsi su crescita, sviluppo, progresso, «abbandonando – ha detto – politiche passate che si sono rivelate improduttive e non inclusive, per andare a un’idea di Calabria unita, pur nelle diversità, capace di contribuire anche alla ripresa dell’Italia. Insomma una Calabria che punti al contrasto dell’illegalità, della ‘ndrangheta per poter giungere a un sistema istituzionale efficace, efficiente, snello». A parere del presidente, il lavoro da fare riguarda la giunta regionale, ma anche l’intera collettività, a partire dalle forze sociali, dagli enti locali, dal mondo associativo, da tutti i soggetti attivi sul territorio. Come dire – che è un’intercalare tipico di Oliverio – che sono tutti i cittadini a dover costruire, granellino dopo granellino, la Calabria. Un granellino da fornire al costruttore della casa e non rubarlo. O, peggio ancora, agire come Penelope (che aveva un suo fine preciso) che di giorno si costruisce e di notte si demolisce, così da restare sempre «fermi a un palo». Oliverio, visti i tempi invernali, e non solo, non poteva che partire dal dissesto idrogeologico. Fino ad ora, solo parole al vento, all’acqua e alla furia degli elementi, con conseguenze che, ogni giorno, l’esperto Carlo Tansi, mette in evidenza. Da qui l’impegno del presidente di fare in modo di evitare i disastri di qualche anno fa e che incombono sullo «sfasciume pendulo sul mare».
E Gioia Tauro? All’infrastruttura più importante della Calabria, Oliverio ha dedicato un’attenzione particolare. «Gioia Tauro non è solo transhipment, è anche infrastrutture esterne, multifunzionalità, aree attrezzate per gli insediamenti industriali». Ha lasciato intendere quanto sia necessario un progetto complessivo, condotto anche con il contributo di operatori economici, docenti universitari, esperti, dirigenti politici e sindacalisti. Questo progetto, a parere del governatore, prevede anche la Zes, con le relative politiche di sviluppo, un gateway, all’interno delle reti nazionali ed europee, un sistema portuale che valorizzi anche Villa San Giovanni, Crotone e Corigliano. Solo così – è l’opinione di Oliverio e non solo – la “questione Gioia Tauro” diventa un asse portante dello sviluppo regionale. È dalla Calabria che deve partire una propria proposta, un proprio punto di vista per presentarsi a Roma e a Bruxelles, dimostrando il proprio “savoir faire”. È tutta l’area industriale, oggi in abbandono, dopo la fuga dei “prenditori della 488”, deve avere un nuovo ruolo, con l’individuazione di un manager in grado di organizzare la gestione portuale e la politica di attrazione di investitori onesti e capaci.
Ecco perché, a parere di Oliverio, è determinante l’interlocuzione concreta col premier Matteo Renzi e con le iniziative che vuole prendere in favore della Calabria, dopo l’istituzione della cabina di regia. Il governo non può non riflettere sulla progressiva riduzione del Pil, sulla scarsa qualità della vita, sul fatto che il mondo delle imprese sia – come ha rilevato Unindustria Calabria, presente lo stesso Oliverio – al limite della sopravvivenza. Per non parlare delle cifre da record – in negativo – che ha raggiunto la disoccupazione giovanile. L’intendimento di Oliverio, consapevole di essersi messo sulle spalle un fardello indiscutibilmente pesante è quello di lavorare per rimettere in piedi la Calabria, per giungere a una regione più unita, più onesta, più libera dalla ‘ndrangheta, capace di valorizzare i patrimoni culturali e naturali, ma anche quelli turistici, che non abbiamo saputo “vendere” al mondo. Non potevano mancare riferimenti alla sanità, alla povertà, alla criminalità. E naturalmente alla burocrazia. A questo punto ha tuonato sui «santuari da rottamare». Insomma, non ci dovranno essere privilegi, come finora è avvenuto e avviene. Occorre valorizzare forze interne, vincitrici di concorso, in maniera adeguata. Il presidente, su questo versante, si è impegnato a chiudere la «stagione in cui la burocrazia poteva condizionare le scelte». Basta farsi dare i curricula, intervenendo sulle promozioni ad libitum e, soprattutto, senza titoli. D’altro canto il fatto che nelle dichiarazioni programmatiche Oliverio abbia sostenuto che la Regione non sia trasparente, non consenta ai cittadini di vedere ciò che accade al suo interno, come vengano prese le decisioni, come sia speso il danaro pubblico, la dice lunga. Ben venga, dunque, l’Osservatorio sulla legalità.
Certo, le opposizioni – con Tallini, in primis, e poi Mangialavori, Orsomarso e altri – non hanno mancato di rintuzzare Oliverio e il suo “libro dei sogni”. Ma Orlandino Greco, Bevacqua, il capogruppo del Pd, Romeo, hanno bacchettato gli oppositori. Da apprezzare l’intervento di Flora Sculco. Intelligente, pacato, concreto. Che dire? Se ci sarà il concime giusto, le rose fioriranno.
*Giornalista
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