"Ippocrate", D'Alessandro: tutto regolare
COSENZA Tutto avveniva regolarmente. Non ha avuto alcuna esitazione nel rispondere alle domande di accusa e difesa Alfredo D’Alessandro, imputato in qualità di medico nel processo “Ippocrate”. L’inch…

COSENZA Tutto avveniva regolarmente. Non ha avuto alcuna esitazione nel rispondere alle domande di accusa e difesa Alfredo D’Alessandro, imputato in qualità di medico nel processo “Ippocrate”. L’inchiesta – scaturita da una serie di indagini su falsi invalidi avviate nel 2010 – coinvolge medici, funzionari e impiegati amministrativi del distretto di Rende dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza. Gli episodi contestati dalla Procura risalgono al periodo compreso tra febbraio e aprile del 2009. Gli imputati sono accusati, a vario titolo, dei reati di truffa e falso. Nell’operazione – che fece molto clamore all’epoca – finirono tra gli altri anche l’ex coordinatore provinciale del Pdl Sergio Bartoletti e l’ex presidente del consiglio comunale di Cosenza Pietro Filippo. Tutti coinvolti in qualità di medici.
Le indagini, condotte per quasi due anni dalla sezione di Cosenza nord della polizia stradale, avevano rilevato, nel corso di alcuni controlli, irregolarità in merito al riconoscimento dell’invalidità civile a decine di persone. Dall’attività investigativa è emerso che il riconoscimento delle false invalidità sarebbe avvenuto attraverso l’intervento autonomo dei medici, con la complicità di funzionari e impiegati del distretto sanitario di Rende, senza che venisse investita la competente commissione collegiale.
Di questo ha parlato nel corso del suo esame D’Alessandro, incalzato dalle domande dei pm della Procura di Cosenza Giuseppe Cozzolino e Antonio Bruno Tridico. “Gli accertamenti sul presunto invalido avvenivano – ha precisato D’Alessandro – a volte anche non in presenza di tutti i componenti della commissione. Se qualcuno era assente per motivi di lavoro l’accertamento avveniva comunque, ma poi la pratica veniva depositata in segreteria e tutti potevano prenderne visione. Alle “visite” domiciliari – ha ribadito più volte in aula – poteva andare anche un solo medico. All’epoca il cartaceo era indispensabile”. Su queste circostanze, è poi tornato anche rispondendo alle domande della difesa nel corso delle quali ha precisato che quelle che i pubblici ministeri hanno chiamato visite, erano in realtà accertamenti. Ha spiegato come avvenivano gli accertamenti post mortem e i parametri che venivano utilizzati dalla commissione.
Nel corso dell’esame, D’Alessandro ha precisato inoltre la questione badge. Perché secondo l’impianto accusatorio diversi medici e impiegati amministrativi dell’Asp avrebbero fatto timbrare il loro tesserino magnetico da altri colleghi, quando loro non erano al lavoro. Un “sistema” emerso dalle verifiche fatte sulle telecamere di videosorveglianza, nel corso delle indagini condotte dalla polizia stradale. Su questo aspetto, D’Alessandro ha chiarito che a volte non timbrava lui perché si trovava fuori per impegni di lavoro, altre volte è capitato che, poiché conservava il tesserino nel cassetto dell’ufficio, chiedeva a qualche collega di scendere al piano terra a timbrare. I pubblici ministeri hanno sollevato alcune contraddizioni rispetto a precedenti verbali resi in sede di indagini.
Il processo è stato aggiornato al prossimo 11 maggio. Il giudice Alfredo Cosenza ha fissato un calendario delle udienze fino alla pausa estiva: 25 maggio, 8 giugno, 22 giugno, 13 luglio e 27 luglio.
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it