Balestrieri, respinta l'istanza di scarcerazione
REGGIO CALABRIA Non ha fatto neanche in tempo a mettere piede in Italia il “comandante” Giorgio Hugo Balestrieri, che per lui era pronta un’istanza di scarcerazione redatta con solerte puntualità dai…

REGGIO CALABRIA Non ha fatto neanche in tempo a mettere piede in Italia il “comandante” Giorgio Hugo Balestrieri, che per lui era pronta un’istanza di scarcerazione redatta con solerte puntualità dai suoi legali e presentata – invano – al magistrato competente. Per il giudice del Tribunale di sorveglianza di Roma, Balestrieri – appena estradato dal Marocco, dove è stato arrestato dopo anni di latitanza – deve rimanere a Rebibbia, dove – probabilmente a breve – sarà anche sentito dai pm delle diverse procure, che a vario titolo lo hanno visto coinvolto nelle loro indagini. Di certo attende di poterlo ascoltare il pm Roberto Di Palma della Procura di Reggio Calabria, che per primo lo ha individuato come uno dei principali terminali imprenditoriali e finanziari di cui la cosca Molè nel tempo si sarebbe servita per riciclare e investire gli enormi proventi del porto di Gioia Tauro.
LE TANTE VITE DEL COMANDANTE
E al magistrato reggino, vero decano delle indagini sui clan di ‘ndrangheta della Piana, Balestrieri anche negli anni di latitanza non ha mai mancato di far arrivare ambigui messaggi. Quando giù da tempo i magistrati della Dda lo cercavano per chiedergli conto degli affari gestiti per conto dei Molè nella capitale, da New York – dove per anni ha vissuto protetto da passaporto statunitense, riuscendo ad affermarsi come uomo in vista nella comunità, tanto da figurare come vice presidente del Rotary club della città – Balestrieri aveva fatto sapere tramite il suo legale – di essere un agente entrato in contatto con persone sospette solo perché impegnato in un’operazione di intelligence per conto di un organismo, mai meglio specificato. Una versione cui i pm non hanno mai creduto, ma sulla quale molto probabilmente chiederanno dettagliate informazioni a Balestrieri, e informalmente sconfessata dagli apparati di intelligence, ma su cui oggi i pm vogliono sapere di più. Così come pretendono di sapere di più su una figura che ha fatto dell’ambiguità la caratteristica distintiva della propria esistenza.
UN CURRICULUM TUTTO DA SPIEGARE
Ufficiale della marina militare dal 1963 al 1981 – come lui stesso indica orgogliosamente nel suo profilo Linkedin – Balestrieri sarebbe uno degli affiliati alla loggia P2 di Licio Gelli, con tessera numero 907, smascherato dalla perquisizione del marzo 1981 a Castiglion Fibocchi. Stando a quanto avrebbe riferito il faccendiere Elio Ciolini – divenuto noto per il suo presunto coinvolgimento nelle indagini sulla strage di Bologna –, Balestrieri farebbe parte anche della loggia riservata “Montecarlo”, «un potentato economico – si legge nella relazione conclusiva della commissione – dominato dalle personalità di Andreotti, Agnelli, Calvi, Monti, Ortolani, Gelli e dal capo del gruppo editoriale Rizzoli e vari altri distinti fratelli fondatori, esecutivi e attivi». Per le diverse Procure che si sono ritrovate a indagare, il “comandante” per lungo tempo avrebbe lavorato come agente dei servizi segreti americani in Italia, o meglio in Calabria, nonostante dal 1981 sia formalmente residente a New York
L’AFFARE VILLA VECCHIA
Tramite “il comandante” e i suoi soci, Angelo Boccardelli, segretario dell’ex ambasciatore di San Marino, Giacomo Maria Ugolini, gran maestro della loggia del Titano, che per questo affare ha rimediato una condanna a sette anni di reclusione – e Giuseppe Fortebracci (morto prima della conclusione del processo) –, gli uomini del clan hanno tentato di reinvestire larga parte dei profitti illeciti provenienti dal contrabbando di merci contraffatte al porto di Gioia Tauro, nella gestione di una sontuosa struttura alberghiera di Monte Porzio Catone, in provincia di Frascati. Struttura in possesso di Balestrieri e altri tramite diverse società a loro riconducibili e messa a disposizione dell’imprenditore del clan Molè, Cosimo Virgiglio, testa di ponte del clan nell’affare. Una “disponibilità” che per i magistrati della Dda vale una contestazione di concorso esterno in associazione mafiosa, perché tutti avrebbero offerto «un contributo concreto, specifico e determinante per il perseguimento delle finalità della ‘ndrina Molè – della quale pur tuttavia non facevano parte organicamente – con particolare riferimento alla acquisizione da parte della ‘ndrina medesima della struttura alberghiera Villavecchia di Frascati, nonché al controllo da parte della ‘ndrina medesima sulle attività economiche che si svolgevano nell’area portuale di Gioia Tauro, ivi comprese quelle connesse alle operazioni doganali e di trasporto delle merci oggetto di import-export soprattutto dalla Repubblica popolare di Cina».
BALESTRIERI SAPEVA
Un business che i tre avrebbero portato avanti – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare dell’epoca – nonostante sarebbero stati «perfettamente consapevoli di chi è il Virgiglio e di cosa e di chi egli rappresenti; essi non esitano ad entrare in contatto con le ‘ndrine di Gioia Tauro (Molè) e Rosarno (Pesce, Bellocco e Cacciola) per portare avanti l’affare». Per i magistrati, Boccardelli, Fortebracci e Balestrieri, «sono soggetti cui l’associazione per delinquere di stampo mafioso si era rivolta per risolvere il problema del reinvestimeno del denaro (e anche della sistemazione lavorativa della famiglia di Rocco Molè) ed essi, per quanto si coglie dalle emergenze indiziarie (delle intercettazioni in particolare), erano perfettamente consapevoli dell’apporto prestato all’associazione medesima (come denota la cacciata dei precedenti titolari della struttura alberghiera), ciò almeno fino a quando gli interessi dell’una e degli altri non iniziavano a divergere, sì da divenire essi stessi un ostacolo dell’associazione cui un tempo si appoggiavano e subirne le conseguenze. Da qui i tentativi di ricorrere ad altri, simili, canali, per mantenere le condizioni di controllo sulla struttura».
BALESTRIERI: IO, AGENTE IN MISSIONE
Tuttavia non sono solo queste le circostanze che Balestrieri sarà tenuto a spiegare. Oltre a quella di Reggio Calabria, altre procure attendono particolari e dettagli sul misterioso Cristo ligneo attribuito a Michelangelo e nella disponibilità della fondazione dedicata all’ambasciatore Ugolini di cui Balestrieri e Boccardelli erano ai vertici. Un’opera d’arte preziosa e misteriosa – per alcuni chiave di un fantomatico “Codice Michelangelo”, messaggio esoterico nascosto per secoli, per altri “il Cristo di Michelangelo”, una sorta di Santo Graal della storia dell’arte, per altri ancora un semplice falso, di cui Balestrieri avrebbe affermato di essere in possesso – mai più ritrovata nel corso delle perquisizioni e finita al centro delle indagini di diverse procure fra l’Italia e San Marino.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it