Reggio, concluse le indagini sul clan Caridi-Borghetto-Zindato
REGGIO CALABRIA Avranno venti giorni per chiedere di farsi interrogare o presentare memorie difensive i diciotto indagati dell’inchiesta Cripto, l’indagine che ha inferto un nuovo colpo al clan Carid…

REGGIO CALABRIA Avranno venti giorni per chiedere di farsi interrogare o presentare memorie difensive i diciotto indagati dell’inchiesta Cripto, l’indagine che ha inferto un nuovo colpo al clan Caridi-Borghetto-Zindato, colpendo la cinghia di trasmissione fra i detenuti in carcere e uomini e donne del clan ancora in libertà.
A ricevere l’avviso di conclusione indagini in queste ore sono Domenico Barbaro, Eugenio Borghetto, Rosa Maria Buzzan, Natale Cuzzola, Alessandro Iannì, Paolo Latella, Domenico Antonio Laurendi, Francesco Laurendi, Giuseppe Laurendi, Carmela Maria Nava, Biagio Parisi, Cosimo Pennestrì, Massimiliano Polimeni, Domanico Varano, Domenico Ventura, Francesco Zindato, Domenico Bullace e Gaetano Andrea Zindato, chiamati a rispondere a vario titolo di associazione mafiosa e altri reati.
Per il pm Musolino, erano loro a gestire il vero e proprio sistema mutualistico che garantiva il mantenimento dei detenuti in carcere. Per gli investigatori, a gestirlo era Melina Nava, madre dei fratelli Checco e Andrea Zindato, considerati tuttora figure apicali del clan nonostante le lunghe condanne anche di recente rimediate, ma è soprattutto dalle conversazioni di Domenico Antonio Laurendi, che sono riusciti a comprenderne i meccanismi.
Ascoltando Laurendi, responsabile per il clan della gestione dei pagamenti mensili ai familiari degli affiliati prima di entrare in carcere, investigatori e inquirenti sono riusciti a ricostruire gli equilibri esistenti e a individuare i «veri e propri accordi – si leggeva nell’ordinanza – con cui stabilire chi è l’incaricato di consegnare il denaro e chi, invece è deputato a riceverlo, rivelando come le somme di denaro utilizzate per il sostentamento dei detenuti vengano procurate attraverso la consumazione di altri delitti quali il traffico di stupefacenti o reati contro il patrimonio».
Un sistema rodato che anche quando si inceppa è in grado di attivare procedure e interventi necessari per rimetterlo in marcia. È quanto succede ad esempio quando uno dei sodali, Biagio Parisi, decide di trattenere la quota destinata ai familiari di un uomo del clan, Domenico Ventura. Uno sgarro per cui Domenico Laurendi, tramite i familiari, chiederà l’intervento diretto di Melina Nava, madre del reggente Checco Zindato e del fratello Andrea, cui dopo l’arresto dei figli è toccato tenere strette le redini del clan.
È lei infatti a venire informata di dissidi e controversie, puntualmente riferite al figlio Checco, come a riportare le direttive che da questi vengono impartite durante i colloqui. Un meccanismo emerso da centinaia di conversazioni intercettate, sulla base delle quali gli inquirenti ipotizzano che proprio dai massimi vertici del clan sia arrivato il via libera all’escalation di intimidazioni – una testa d’agnello in macchina, l’auto data alle fiamme, minacce verbali e fisiche – cui Parisi è stato sottoposto per riportarlo «sulla retta via».
a. c.