Vibo, i poteri forti e il trasformismo dei peones
Ah, i poteri forti. A Vibo, dopo la presentazione delle liste (15) e dei candidati (460) pronti a contendersi un posto a Palazzo Razza, le folate di indignazione anti-casta sembrano già assorbite dal…
Ah, i poteri forti. A Vibo, dopo la presentazione delle liste (15) e dei candidati (460) pronti a contendersi un posto a Palazzo Razza, le folate di indignazione anti-casta sembrano già assorbite dalla brezza rassicurante degli aspiranti sindaci a cui i bookmakers nostrani affidano le maggiori possibilità di vittoria.
A sentire i fan di Lo Schiavo, i poteri forti stanno con Costa, appoggiato indirettamente anche da un indomito Giamborino, che non pare temere capogiri o crisi d’identità nel continuare a dichiararsi di centrosinistra. A sentire i supporter di Costa, invece, stanno con il candidato del Pd, accusato di opacità sulle note vicende di Calabria etica e Aterp. Entrambi (Costa e Lo Schiavo) hanno come stella polare la rottura con il passato e la discontuinità rispetto al povero Nicola D’Agostino che, in questi anni da sindaco, avrebbe quindi fatto tutto da solo. Si fa così, in scioltezza: come se non ci fosse mai stata né una giunta né una maggioranza votante (e spesso silente) in consiglio; come se ex assessori e consiglieri di maggioranza non avessero trovato posto in entrambi i maggiori schieramenti. E non c’è da stupirsi neanche della disinvoltura con cui si muove (da anni) un altro attuale candidato a sindaco, Pasqua, la cui parabola meriterebbe un trattato di antropologia politica.
Ma c’è poco da analizzare o da indignarsi: a Vibo è normale tutto. Non esiste né politica né civismo. Oggi come cinque o dieci anni fa. Qui l’identità è come un velo sottilissimo che ci si lascia cadere da dosso con naturalezza mentre si passeggia sul corso, l’appartenenza diventa un pretesto a breve scadenza per coprire appetiti a larga capienza, la smania di rivalsa viene accuratamente ricoperta dalle migliori intenzioni civiche. E i poteri forti…
I poteri forti stanno sempre là, a bearsi della vaghezza di una definizione fin troppo banalizzata che invece si riferisce a centri di comando che i cittadini sanno riconoscere chiaramente e che, al di là dell’indignazione da bar o da web, puntualmente riveriscono. Si tratta di istituzioni di fatto che, come appare evidente dalla composizione delle liste, sono riuscite a rimescolarsi, a dividersi, a generare apparenti guerre per bande. Difficilmente questi centri di potere puntano sul cavallo sbagliato. Che poi può anche non essere uno solo, oppure non risultare quello vincente. Ma di certo mai quello sbagliato. A Vibo, anche questa volta, vinceranno loro. Anzi, hanno già vinto.