REGGIO CALABRIA C’è «un sistema ancora non messo interamente a nudo, che opera nell’ombra e sostiene interessi economici imprenditoriali illeciti frutto di intese e cointeressenze coinvolgenti svariati settori» che ha protetto la latitanza di Amedeo Matacena e Marcello Dell’Utri, ma – sostiene il gip Olga Tarzia, ordinando l’arresto dell’imprenditore calabrese Vincenzo Speziali jr – quella «rete di rapporti tra i soggetti ancora non identificati» potrebbe essere in grado di fornire un «concreto supporto logistico nei casi analoghi» a quello che ha coinvolto il politico imprenditore. Ipotesi che in parte si spingono anche oltre le attuali considerazioni del pm Giuseppe Lombardo, e sembrano chiamare in causa in maniera molto più circostanziata di quanto fatto fino ad ora l’ex ministro Claudio Scajola.
GLI AMICI DI SCAJOLA
L’ex ministro, oggi imputato in uno dei filoni dell’inchiesta Breakfast per procurata inosservanza di pena, non sembra turbato dai nuovi elementi emersi, né ha ritenuto opportuno modificare i propri programmi. Non più tardi di ieri, ha chiamato a raccolta la rete dei suoi fedelissimi in Liguria a sostegno della candidatura del nipote, Marco Scajola, in corsa per la carica di consigliere della Regione Liguria. E sono stati più di cento, fra politici e imprenditori, a rispondere al suo appello, intasando la strada che porta a Villa Ninina, storica residenza di Scajola.
Nonostante i sempre più preoccupanti guai giudiziari che dovrebbero impensierire l’ex inquilino del Viminale, amministratori, ex amministratori e simpatizzanti come: Gianni Giuliano, Rodolfo Leone, Piera Poillucci, Antonello Ranise, Erminio Annoni, Luca e Nicola Falciola, Enzo Teodoro Amabile, Giovanni Ballestra, Paolo Petrucci, Gianfranco Gaggero, Alessandro Scajola, Marco Scajola, Ivo De Michelis, Gianluca Gramondo, Cristian Cha non hanno disertato l’appuntamento. «Un incontro tra amici», lo ha definito con la stampa imperiese Scajola, per il quale l’incontro non sarebbe finalizzato ad ottenere un utile, ma solo necessario «per fare un ragionamento, per dare qualche spiegazione di quello che è successo e quindi tenendoli informati dandogli la mia versione di quello che è successo in questi ultimi anni in questo territorio e poi per spiegargli quello che può essere un voto utile perché il voto deve essere utile, dev’essere ragionato».
RETE SOTTO OSSERVAZIONE
Un incontro presumibilmente monitorato dagli investigatori che in questi anni si sono dovuti occupare dell’ex ministro Scajola, com’è presumibile che siano tenuti sotto stretta osservazione – e da tempo – anche tutti quei per personaggi dell’entourage di Scajola come di Chiara Rizzo, per i quali la progressiva discovery sulle indagini in corso disegna un ruolo sempre più preciso e definito nel progetto di tutelare operatività e libertà dell’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena, inseguito da un ordine di carcerazione in esecuzione di una condanna definitiva. Sopravvissuti della Prima Repubblica, tracimati nella Seconda, vecchi e nuovi faccendieri, nomi noti della politica e dell’economia o figli d’arte, la rete che sembra aver protetto Matacena sembra delinearsi in maniera sempre più evidente, chiamando in causa nomi in Italia sinonimo di potere vero.
Hanno direttamente o indirettamente avuto a che fare con Scajola e Speziali – allo stato, veri registi dell’operazione di salvataggio del politico latitante per mafia – personaggi del calibro dei fratelli Giorgio e Cecilia Fanfani, figli del noto politico Dc, di Emo Danesi, che della Dc era deputato prima di essere sospeso dal partito nei lontani anni 80 perché massone e piduista, di Giovanni Morzenti, ex presidente della Federazione italiana sport invernali (Fisi), di Marzia Mittiga Lefebvre, moglie dell’armatore Manfredi Lefebvre d’Ovidio, di Daniele Santucci, presidente dell’Agenzia italiana per pubbliche amministrazioni (e socio di Pier Carlo Scajola, figlio di Claudio).
Ma quello che sembra allo stato più impensierire inquirenti e investigatori sono personaggi – dei quali non è ancora stata fornita precisa identificazione – che per le conversazioni intercettate e le informazioni fornite a Speziali sembrano avere a che fare da vicino con gli apparati di sicurezza e di intelligence.
OMBRE SPORCHE
E il sospetto, anche per la strategica posizione ricoperta anni fa dall’ex ministro Scajola, che del Viminale è stato per lungo tempo inquilino, è che il livello dei contatti all’interno del delicatissimo comparto, vada ben oltre l’assistente capo della polizia di Stato, F. C., cui sembra aver chiesto di controllare due persone «suocero e genero», o quello che sembra essere l’ufficiale di collegamento dei servizi a Beirut.
A svelarlo è lo stesso Speziali, che 48 ore prima dell’arresto di Scajola, viene sorpreso al telefono con un sempre più impaziente ex ministro, cui spiega: «Del mio interlocutore, che ho capito che non è, diciamo Taviani, tanto per essere inte… per capirci cioè, non… non ha le fattezze per gestire alcuni apparati». Un’affermazione che la Dia completa con uno stringato «verosimilmente di sicurezza – ndr». Uomini allo stato senza nome e senza volto, ma il cui peso specifico sembra essere tanto significativo da lasciare interdetto un personaggio come Speziali, che le indagini hanno mostrato in grado di manovrare fra l’Italia e il Libano, scomodandone i massimi rappresentanti istituzionali come l’ex capo di Stato Amin Gemayel.
Alessia Candito
redazione@corrierecal.it
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