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I messaggi incrociati alla malavita catanzarese

CATANZARO Non c’è ancora la conferma ufficiale, ma la possibilità che l’arma rinvenuta accanto al corpo di Domenico Bevilacqua, ucciso giovedì 4 giugno in un agguato a Catanzaro, fosse proprio del …

Pubblicato il: 12/06/2015 – 11:56
I messaggi incrociati alla malavita catanzarese

CATANZARO Non c’è ancora la conferma ufficiale, ma la possibilità che l’arma rinvenuta accanto al corpo di Domenico Bevilacqua, ucciso giovedì 4 giugno in un agguato a Catanzaro, fosse proprio del killer sembra farsi sempre più concreta. O meglio, è ipotizzabile affermare che la pistola ritrovata accanto al corpo del presunto boss degli zingari non fosse la sua stando a quello che afferma chi conosceva “Toro seduto”. Sebbene il punto di vista degli inquirenti appaia diametralmente opposto, la descrizione che fanno di lui alcuni residenti del quartiere Aranceto è quella di un uomo ormai caduto in bassa fortuna, completamente dimenticato dagli amici e dallo Stato, sostenuto solo dai volontari di alcune associazioni no profit come “Arte di Parte”. Un uomo con difficoltà economiche tali da rendere necessaria anche una colletta per pagargli la bolletta della luce; un uomo che ormai – dopo l’agguato a cui era miracolosamente sopravvissuto nel 2005 – aveva perso il suo potere, il suo ascendente sul suo clan. Nessuna scorta durante le sue passeggiate, quindi, e neanche un’arma da portare con sé per non farsi trovare impreparato in caso di agguato, come se ormai fosse così ai margini dell’attività criminale da non temere per la sua incolumità.
Esattamente il contrario di Cosimino Abbruzzese, detto “U tubu”, che da martedì scorso è in carcere dopo che in seguito a una perquisizione, i carabinieri hanno trovato in una macchina nella sua disponibilità una pistola carica, occultata sotto al freno a mano. Per chi conosce la geopolitica criminale catanzarese, però, sono tanti gli elementi che non tornano. A partire proprio dalla perquisizione in casa di Abbruzzese e poi nella macchina: un’operazione mirata, forse troppo, che ha portato alla luce “solamente” una pistola detenuta illegalmente. Un po’ poco per quello che è indicato come il reggente del clan che controlla lo spaccio di droga e le estorsioni a Catanzaro. A questo punto, la chiave di lettura giusta potrebbe essere proprio quella della paura, paura di essere il prossimo sulla lista dopo l’omicidio Bevilacqua, paura che chi ha premuto il grilletto con estrema ferocia su un boss descritto ormai come decaduto e disarmato, potesse ripetersi su di lui.
E’ quindi la puntualità della perquisizione a lasciare pensare che alla base dell’arresto ci sia la fluidità della situazione in cui si trova, oggi, la criminalità catanzarese. Se la morte di “Toro seduto” può essere letta come l’aver portato a compimento un mandato di dieci anni fa, ha anche l’altra lettura di aver tagliato un ramo secco, di aver lanciato un messaggio. A recepirlo sono quindi stati quelli che su Catanzaro già “lavorano”, tra droga ed estorsioni, ma a lanciarlo potrebbero essere stati quelli che a Catanzaro vogliono entrare. In questo senso, le vecchie ruggini tra zingari e cosche di Borgia potrebbero offrire spunti importanti, così come i ben più attuali contrasti tra i Rom e le cosche che controllano il flusso della cocaina che dall’hinterland reggino raggiunge il capoluogo di regione.
Proprio gli ingenti debiti accumulati per questioni di droga, infatti, potrebbero essere uno dei moventi che – nel novembre scorso – avevano portato all’uccisione di Alessandro Morelli. Un gesto plateale, compiuto in un’arteria tra le più trafficate della città nell’ora di punta e con modalità quasi paramilitari. Per quell’omicidio, finì in carcere Marcello Amato, 39 anni, accusato di essere colui che premette il grilletto, ma a tutt’oggi permane una fitta nebbia su chi quell’omicidio l’abbia ordinato.

 

Alessandro Tarantino
a.tarantino@corrierecal.it

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