REGGIO CALABRIA C’è una nuova indagine sul sequestro e la morte di Mariangela Passiatore, moglie dell’imprenditore milanese Sergio Paoletti, rapita la notte del 28 agosto del ’77 a Brancaleone e mai più tornata a casa. La Dda di Reggio Calabria ha aperto un fascicolo – allo stato blindatissimo – sulla sorte della donna anche sulla base dell’informativa del nucleo investigativo dei Carabinieri di Milano, depositata agli atti dell’indagine Platino. Ascoltando le conversazioni del boss Michele Grillo – uomo storico dei “platioti” al Nord, già condannato in via definitiva per il sequestro dell’imprenditrice Tullia Kauten – gli investigatori hanno infatti scoperto particolari importanti su quel rapimento divenuto un giallo lungo trentotto anni. Parlando con l’amico Luciano Scarinci, Grillo ha svelato di aver avuto un ruolo in quel rapimento, ma di non aver potuto fare nulla per evitare la tragica morte della donna, affidata “alle cure” di diversi carcerieri, non sempre esperti. Presumibilmente qualche settimana dopo il sequestro – spiega Grillo al suo interlocutore, ascoltato dagli investigatori – mentre lui si era allontanato per comprare le medicine necessarie per gestire l’esaurimento nervoso che affliggeva quella donna «nervosa, una persona con problemi», i suoi carcerieri l’hanno violentata. «Ero andato a prenderle le medicine (..) Ero con tre paesani e hanno iniziato a fare domande: a che vi servono? Perché quelli sapevano che si dovevano portare per lei», riferisce Grillo. «Poi torno ed erano là che la stavano stuprando – racconta Grillo -. Sono arrivati e l’hanno trovata che dormiva… io dovevo salire a portare le medicine. Ho trovato questi, questi cornuti… bastardi e cornuti l’hanno ammazzata a bastonate in testa». Un delitto efferato, bestiale, che sembra scuotere anche lo stesso Grillo: «Io non li ho più potuti vedere, gli ho detto: “Se non siete capaci di fare gli uomini, a fare le cose più grandi di voi, statevene a casa”. L’hanno uccisa perché avevano paura, perché non erano capaci di niente». Una dinamica compatibile con le richieste – puntuali e pressanti – fatte all’epoca dai sequestratori, ma improvvisamente interrotte, come anche con il ritrovamento di alcuni vestiti della donna, rinvenuti nel cimitero di Staiti. Tutti elementi che già all’epoca avevano fatto pensare alla morte dell’ostaggio, ma oggi acquistano nuovo valore probatorio.
Per Grillo, quella “cosa brutta” confidata nella notte del 22 aprile 2012 all’amico Scarinci, significa un nuovo procedimento a carico per rapimento e altri reati, mentre è già partita la caccia ai possibili complici. In passato, a finire a processo erano stati Angelo Bello, Fortunato Gallo e Carmelo Scaramozzino, Leo Alalia, Giuseppe Favasuli, e Giovanni Stellitano, custode del cimitero di Staiti, accusati di aver avuto un ruolo nel processo, ma assolti da ogni accusa. Non è la prima volta che dalle conversazioni di Grillo – vera memoria storica delle ndrine al nord – vengono fuori elementi preziosi per ricostruire delitti vecchi per decenni rimasti senza un autore e un perché. È successo per gli omicidi del brigadiere Marino ucciso nel settembre del ’90 a Bovalino, e di Giuseppe De Rosa, capetto dei rom del sud Milano, freddato nel ’76 alla discoteca Skylab, ma anche per il sequestro di Alessandra Sgarella. Proprio ascoltando Grillo e il suo storico “compare” Agostino Catanzariti, gli inquirenti hanno scoperto il ruolo del boss Giuseppe Barbaro, Peppe u Nigru, nella liberazione della donna. Una trattativa finita al centro di diversi fascicoli – inclusi quelli che indagano il rapporto fra lo Stato e le ‘ndrine – che proprio grazie a rivelazioni provenienti dalla pancia della ‘ndrangheta stessa si è riusciti a confermare.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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