Ultimo aggiornamento alle 1:27
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 4 minuti
Cambia colore:
 

Una vita in "84 gradini"

REGGIO CALABRIA Lo spettacolo “84 gradini” scritto e interpretato da Giuseppe Mortelliti ha inaugurato sabato sera – e in replica domenica pomeriggio – la stagione teatrale “La casa dei racconti” d…

Pubblicato il: 10/01/2016 – 12:54
Una vita in "84 gradini"

REGGIO CALABRIA Lo spettacolo “84 gradini” scritto e interpretato da Giuseppe Mortelliti ha inaugurato sabato sera – e in replica domenica pomeriggio – la stagione teatrale “La casa dei racconti” dell’associazione culturale “Spazio Teatro” di Reggio Calabria. L’intento di questo attore siciliano è quello di portare in scena parte della vita di un uomo. Ma in quanto tempo può essere riassunta una “vita”? Giuseppe Mortelliti c’è riuscito in 84 gradini e un monologo di un’ora. La vita di Fabrizio – protagonista del racconto – è scandita dalla frenesia del tempo. È una strada in salita, fatta di corsa e di ostacoli: lascia un piccolo paese del Sud e si trasferisce in una grande città. Qui si innamora, lavora, cresce, affronta la scelta e la successiva esperienza di essere padre; vive paure, dispiaceri e gioie che costellano la sua vita. È una storia semplice e affrontata a tappe; ognuna introdotta da un gradino; ognuna che riporta qualcosa, senza che alcuni scalini siano più importanti di altri: « Il senso che ho voluto dare io allo spettacolo è che non ci sono gradini e non ci sono eventi, nella vita, più importanti di altri – spiega l’attore -. Lo spettacolo è a metà tra vissuto e “quello che potrebbe essere”». Giuseppe si trasforma e diventa Fabrizio, ma anche Francesca, la donna che ama; Delfino, l’amico che perde la vita; Stefano, compagno di bevute; sua madre, suo padre e il medico che gli consegnerà il certificato di morte del figlio. La trasformazione migliore avverrà con “il perbenismo interiore” che nel corso degli eventi si evolverà nelle versioni migliori di se stesso (2.0 e 3.0 cardinale) e sarà la sua coscienza nei momenti in cui la consapevolezza si fa attendere. Diventa adulto, Fabrizio, e cambia aspetto: giacca e cravatta nera indicano il raggiungimento dell’età della maturità. Niente più di un figlio può farlo sentire uomo e l’amore per Francesca lo porta anche a questo. Al 50esimo gradino la madre è ormai morta di cancro e i cubi appesi al soffitto oscillano, come lo scoccare di un metronomo: «Francesca ha avuto un figlio e tua madre è morta», ripete il perbenismo interiore seguito a ruota dall’ambizione, dall’orgoglio e dall’autostima, quando si considera vergognoso il suo lavoro come riparatore di scale mobili. «Dovresti pensare più in grande; metterti in proprio», gli bisbigliano all’orecchio. Siamo quasi alla fine e i gradini lasciati alle spalle sono tanti. Si arriva in cima, in un sogno in cui la madre e il padre siedono sulla riva del mare. Il mare, difficile da comprendere per Fabrizio. Compie la sua corsa, sbatte sugli scogli, si infrange sulla riva, ma si ricompone sempre, senza distruggersi mai.
Se si mette da parte per questioni meramente pratiche l’analisi del testo, tre sono i punti forza dello spettacolo. Il primo è l’attore stesso; non solo nella sua più specifica capacità attoriale quanto – piuttosto – nell’utilizzo del corpo come fosse uno strumento superiore alla parola. Nel percorso formativo di Giuseppe Mortelliti c’è lo studio della biomeccanica teatrale acquisita all’accademia d’arte drammatica “Silvio D’Amico” e approfondita successivamente con Nikolaj Karpov. Sul palco questa tecnica gli ha permesso di saper dosare le azioni in relazione alla parola, in una danza ritmica che – reiterando battute e gesti – ha creato movimento e continuità scenica funzionale al quadro successivo. «Credo non si possa prescindere dal corpo quando si fa uno spettacolo teatrale – spiega l’attore -. Questo è il modo che – per me – funziona meglio per trasmettere qualcosa. Preferisco affidarmi più al corpo che alla voce, perché so che il corpo mi dà una forza maggiore: è indispensabile e aiuta alla riuscita di un buono spettacolo». Secondo punto di forza: la scenografia. Curata e studiata da Simone Martino, due gruppi di cubi occupano posizioni diverse sulla scena. Una prima fila da sei pende dal soffitto. Su un enorme pallottoliere – sistemato a destra – i cubi, invece, sono sette. «C’è qualcosa che non gli quadra», spiega Martino. Lo scenografo affida agli oggetti la “sospensione della vita” che – portando con sé caducità e imprevisto -, elude il controllo totale dell’uomo su di essa. «I cubi sospesi sono appesi perché parliamo di una situazione irrisolta e il protagonista ce l’ha per tutta la vita – continua -. Alcune cose sono strutturate in modo tale che ci sia una chiave di lettura aperta; come una spada di Damocle che prima o poi si spezzerà. Volevamo qualcosa che fosse neutrale e facilmente adattabile e avesse più significati. La forma geometrica che ci convinceva di più era il cubo». Ultimo elemento di forza: le musiche. Composti da Francesco Leineri apposta per questo spettacolo, i brani chiudono con efficacia il cerchio della vita.

Miriam Guinea
redazione@corrierecal.it

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del mare 6/G, S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano | Privacy
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x