REGGIO CALABRIA Rimane in carcere Giovanni Maria De Stefano, reggente dello storico casato di Archi, arrestato il 22 dicembre scorso per ordine dei pm Giuseppe Lombardo, Stefano Musolino e Rosario Ferracane. A lui, gli inquirenti sono arrivati seguendo la pista del fiume di denaro che per suo ordine la Cobar, ditta impegnata nel milionario appalto di ristrutturazione del Museo Archeologico di Reggio Calabria, è stata costretta a versare al clan.
BRONZI SOTTO ESTORSIONE Nella casa dei Bronzi, gli arcoti non solo hanno stabilito quali maestranze reggine dovessero lavorare, ma anche dove dovessero dormire gli operai che la ditta aveva portato con sé da fuori. «Questa ditta esterna – spiega in modo dettagliato Enrico De Rosa, il collaboratore che con le sue rivelazioni ha dato conferma alle risultanze delle indagini – era di Matera, io vengo messo a conoscenza da Sonsogno che avevano pilotato alcune assunzioni, che avevano dirottato nell’albergo di loro interesse che era l’Hotel Lido, gli impiegati che da Matera, giustamente, essendo una ditta di fuori, avevano necessità degli alloggi». Informazioni che il collaboratore ha potuto concretamente verificare. «Una sera – mette a verbale di fronte al pm Musolino – in particolare accompagnai il Sonsogno proprio a dialogare col Direttore, col… non ricordo il nome, tipo, di questa persona, era una persona, tipo, sulla sessantina, tipo, abbastanza robusta, gestiva l’albergo là e io accompagnai Sonsogno per parlargli, sempre in riferimento, tipo, al fatto che dormivano e, quindi, pernottavano presso quella struttura. Demetrio gli chiese quante persone dormivano, quante stanze occupavano e la tariffa che gli aveva applicato. Demetrio, non era il proprietario dell’Hotel Lido, per cui, se chiedeva ‘sta cosa vuol dire che c’erano degli accordi».
DIREZIONE DEI LAVORI DE STEFANO Ma i De Stefano decidevano anche come dovesse essere gestito il cantiere. È infatti per decisione del “Principe” che la Cobar ha iniziato a stoccare i reperti nel magazzino di Carmelo Ficara. A rivelarlo è sempre De Rosa che racconta «Giovanni de Stefano mi chiamò e mi disse: “vedi che questi qua per…” i lavori stavano iniziando, stavano… stavano iniziando la parte di sotto, per cui il deposito dove tengono tutti i reperti andava spostato, e mi disse: “vedi di trovare un posto dove spostare i reperti del museo”». Ma la Cobar non è stata semplicemente costretta ad accettare i “consigli” degli arcoti, ma anche a versare una quota crescente di denaro per il “disturbo”.
I CONSIGLI SI PAGANO A rivelarlo è sempre il collaboratore, che ha personalmente assistito ad una serie di pagamenti: una prima tranche di 15-20mila euro consegnata dal geometra Trezza a Mico Sonsogno durante un pranzo al ristorante Re Ruggero, gestito da uno dei fermati, Vincenzo Morabito, una seconda di 50mila euro nei pressi dell’hotel Excelsior, 15mila passata di mano da Trezza a Sonsogno al Centro Sportivo Pellicanò, meglio conosciuto come campetto dell’Hinterreggio, nascosta dentro l’involucro di una risma di fogli A4, una terza invece ritirata da De Rosa dalle mani di un altro indagato, Arturo Assumma, su incarico di Sonsogno, cui subito dopo il ritiro li ha consegnati. «Andai ad Archi, a casa di Sonsogno – ricorda il collaboratore – aprimmo la busta e cominciammo a contare i soldi, ce n’erano un 50 mila, non mi ricordo ora le cifre, però più di 50 erano sicuro».
CASSA Soldi che andavano immediatamente consegnati a Giovanni De Stefano, ma su cui – in parte – anche Sonsogno, per De Rosa incaricato delle estorsioni «da Archi al Calopinace», aveva facoltà di gestione. Non a caso – aggiunge – il giorno dopo la consegna di quei cinquantamila euro, Mico Tattoo Sonsogno lo aveva reso partecipe della divisione delle somme. «Mimmo era autorizzato a investire i soldi come cavolo voleva, una parte dei soldi, una parte glieli hanno dati subito, mi sembra un 15-20 mila euro glieli hanno dati subito, la rimanenza, c’erano 30 mila euro, 10 mila erano di Vincenzino Zappia, gli altri, Mimmo, li teneva lui come fondo cassa. Una volta a me mi disse se hai qualsiasi cosa hai bisogno hai un fido di 10 mila euro». Un prelievo continuo che la ditta non ha mai ammesso.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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