«Bilardi, Fedele e De Gaetano? Non è detto che inquinino le prove»
ROMA Per la Cassazione non ci sono elementi concreti che dimostrino che gli ex consiglieri regionali Nino De Gaetano, Giovanni Bilardi e Luigi Fedele possano reiterare i reati di cui sono accusa…

ROMA Per la Cassazione non ci sono elementi concreti che dimostrino che gli ex consiglieri regionali Nino De Gaetano, Giovanni Bilardi e Luigi Fedele possano reiterare i reati di cui sono accusati, tanto meno si rintracciano prove a sostegno di un possibile inquinamento probatorio. Sono questi, in sintesi, i motivi per cui la Suprema Corte ha ordinato ad un nuovo Tdl di esaminare le esigenze cautelari per il senatore Bilardi e i due ex assessori regionali ai Trasporti. Se per Bilardi si sottolinea ad esempio «che si tratti di affermazione del tutto ipotetica lo dimostra l’affermazione che potrebbe trattarsi di far scomparire “tracce documentali” o di crearne di nuove: non si discute quindi di circostanze di fatto significative, ma vi è una generica deduzione logica». Inoltre – sottolinea la Suprema Corte – pur se ai fini della esigenza cautelare non è necessario individuare le singole prove da acquisirsi, nel caso di specie non vi è stata l’individuazione di almeno un ambito concreto di prove da acquisire, condizione necessaria perché il pericolo di inquinamento possa apparire “concreto”». Allo stesso modo, in relazione alla posizione di Fedele si sottolinea che «non risulta, quindi, individuata alcuna condizione concreta che indichi un effettivo rischio attuale di condotte mirate all’occultamento od alterazione di prove, e quanto riportato non è altro che una descrizione della gravità della condotta e della determinazione a delinquere. Quindi il rischio di inquinamento probatorio è individuato solo in via “logica” laddove, invece, deve essere fondato su elementi concreti, come sopra detto».
Inoltre, la Cassazione definisce definitivamente astratto il pericolo di reiterazione dei reati perché «è stato, difatti, motivato sul carattere sistematico delle appropriazioni, tale da dimostrare che non si era trattato di una condotta occasionale o isolata, e, a fronte della cessazione dall’incarico, dalla “accertata e mantenuta rete di legami politici che rendono il ricorrente non estraneo… , dall’ambiente in cui sono maturati i delitti”. Si è quindi ritenuto in sé criminogeno il mero dato della prosecuzione dei rapporti con la politica, affermazione che poteva avere concreto significato solo previa dimostrazione che la attività politica del ricorrente fosse specificamente (ancorchè non esclusivamente) funzionale alla commissione dei delitti in questione. Tale dimostrazione, nell’ordinanza impugnata, non vi è». In sintesi , se la decisione della Cassazione non mette in discussione le condotte attribuite ai politici, di certo mette in dubbio che chi le ha messe in pratica possa continuare a farlo, banalmente perché non c’è alcun elemento concreto che permetta di sostenerlo. Se la procura vorrà continuare a sostenere la necessità di detenzione per i politici colpiti da misura custodiale in Rimborsopoli dovrà quindi “fare i compiti” e fornire ai giudici elementi – concreti – a sostegno della propria tesi.
a. c.