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Giornata della memoria, celebrato a Reggio il ricordo delle persecuzioni

REGGIO CALABRIA Il salone di rappresentanza della prefettura ha ospitato la cerimonia in ricordo dello sterminio del popolo ebraico e dei deportati nei campi nazisti. All’evento erano presenti i mass…

Pubblicato il: 27/01/2016 – 15:45
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Giornata della memoria, celebrato a Reggio il ricordo delle persecuzioni

REGGIO CALABRIA Il salone di rappresentanza della prefettura ha ospitato la cerimonia in ricordo dello sterminio del popolo ebraico e dei deportati nei campi nazisti. All’evento erano presenti i massimi rappresentanti delle istituzioni, forze dell’ordine e amministrazioni reggine. Una commemorazione sobria quella voluta dal prefetto di Reggio, Claudio Sammartino, il quale ha ricordato le vittime dell’olocausto e coloro che si sono sacrificati per salvare uomini, donne e bambini. «Non ci sono parole per l’orrore e i crimini commessi contro l’umanità – ha detto –. Contro queste persone, per la sola ragione che erano ebrei, una brutalità senza eguali. Il ricordo si sviluppi nel silenzio, dentro le coscienze, con un costante rifiuto di ogni tipo di violenza». Il rappresentante del governo ha quindi invitato tutti i presenti a riflettere sul significato della Shoah per comprenderne il monito: «all’antisemitismo, alla violenza dell’uomo contro l’uomo, non si deve più consentire di mettere radice nel cuore dell’essere umano». Un messaggio che Sammartino ha voluto ribadire recitando una poesia “Filo spinato” di Peter un bambino del ghetto di Terezin. Campo che durante la Seconda guerra mondiale divenne il maggiore tra quelli di concentramento e smistamento della Cecoslovacchia e i cui 15mila ospiti bambini morirono in gran parte ad Auschwitz e Dachau. Ma è citando parole di speranza tratte dal diario di Anna Frank che il prefetto ha voluto concludere il suo discorso: «Partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo penso che tutto volgerà nuovamente al bene».

MEMORIE DA UNA CASA DI MORTI Grande spazio è stato lasciato alle fonti. La soprintendente archivistico per la Calabria, Maria Giuseppina Marra, ha spiegato come la maggior parte dei documenti dell’epoca siano stati distrutti dai nazisti sul finire della guerra. «Si ha la sensazione – ha spiegato – che la Shoah sia stata scoperta da poco». In effetti è solo dagli anni ’60 che viene studiata: sia perché si è avuto l’orrore di ricordare, sia per la mancanza di fonti. Restano però i documenti privati. Diari e lettere, ad esempio, oppure filmati e fotografie. Come quelli di Dachau, il primo campo di concentramento nazista del 1933, di cui sono state proiettate le immagini della liberazione avvenuta nel 1945. Una vera e propria casa di morti, dove chi entrava riceveva come benvenuto 25 bastonate. «Iniziava – ha continuato Marra – l’abbattimento della personalità, tatuando un numero identificativo sulla pelle». Infine, si era letteralmente aggiogati ad un carro che doveva essere trascinato lungo un campo grande all’incirca 44 chilometri quadrati. La sera, chi li aveva e riusciva a tornare vivo alla baracca, doveva lasciare i propri zoccoli fuori per ritrovarli l’indomani mattina congelati. Dachau, voluto da Heinrich Himmler e costruito da prigionieri politici, era dotato di sale operatorie dove venivano effettuate asportazioni di organi senza anestesia ed esperimenti genetici. «Nemmeno i bambini erano risparmiati – ha raccontato la soprintendente, riferendo l’episodio di un infante di due mesi che – sopravvissuto miracolosamente alla camera a gas mentre la madre lo allattava, fu ritrovato da alcuni ebrei addetti al recupero dei cadaveri. Questi lo portarono subito fuori dove, però, i nazisti non ebbero pietà di lui e lo passarono alle armi».

LE LEGGI RAZZIALI ITALIANE L’Italia adottò una normativa razziale dopo la Germania, nel 1938, iniziando dalla scuola. Nel corso dell’incontro sono stati illustrati i testi originali delle leggi. Tra tutti, il Regio Decreto numero 1630 del 1938 istitutivo delle scuole elementari per i fanciulli ebrei. Questi istituti, che erano a carico della comunità ebraica, segnarono l’inizio della ghettizzazione con il divieto per i cittadini giudei di frequentare scuole statali. In seguito furono costruiti anche dei campi di concentramento, che però ebbero una fisionomia diversa rispetto ai lager tedeschi e polacchi. Come quello di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza, aperto nel 1940, in cui vennero internati ebrei, apolidi, stranieri e slavi. Luogo passato alla storia come “campo dei bimbi felici” per evidenziare le migliori condizioni in cui versavano i prigionieri, i più giovani dei quali scrivevano poesie al direttore. Purtroppo, però, coloro che partivano dai campi di concentramento, diretti verso quelli di sterminio, non condividevano la stessa sorte. Ciononostante i bimbi stretti nei convogli erano soliti intonare un canto di speranza. Il salmo 23: ‘Anche se andassi nella valle della morte non temerei male alcuno, perché tu sei sempre con me.

Roberto Priolo
redazione@corrierecal.it

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