RENDE Un grande successo o un colossale bluff, a seconda che a commentarle siano i vincitori o gli sconfitti. Le primarie del Pd hanno sempre due volti. E quelle che, nel dicembre 2012, hanno ridisegnato la classe dirigente dem non fanno eccezione. Esultavano i potenziali parlamentari, masticavano amaro i politici rimasti nelle retrovie. Mario Maiolo, per esempio: «Doveva essere una festa di partecipazione, purtroppo le tante irregolarità hanno rovinato questa consultazione democratica. È stato l’epilogo della conduzione antidemocratica e non trasparente della federazione provinciale del Pd. Irregolarità si sono registrate nel tesseramento 2011 e 2012, nella redazione dell’Albo degli elettori, di fatto inesistente, e, quindi, indisponibile alla consultazione da parte dei candidati al pari dell’elenco dei tesserati, nella organizzazione dei seggi e nelle operazioni di voto». Un’accusa finita in un ricorso, finito a sua volta nell’oblio.
Le parole di Maiolo, però, potrebbero essere persino troppo leggere rispetto a quanto sarebbe accaduto in alcune sezioni della provincia di Cosenza. Sono alcune intercettazioni della Dda di Catanzaro – che indaga sull’impasto tra la ‘ndrangheta e il terzo livello – a svelare i retroscena politici più inquietanti. Il contesto geografico (Rende) e quello politico (le primarie, appunto) fanno tremare più d’uno alle latitudini calabresi. La storia registrata dagli inquirenti è più il punto di vista rendese della competizione politica che la trattazione dei legami tra i clan e il terzo livello.
L’espressione brogli elettorali viene messa fra virgolette dagli inquirenti. Perché il reato non c’è, ma le condotte sono censurabili e hanno ben poco a che vedere con la buona politica.
Nel dicembre del 2012 tutti i maggiorenti del centrosinistra si danno da fare per le primarie. L’opportunità sembra ghiotta: il crepuscolo berlusconiano apre la strada a una vittoria del centrosinistra, che poi risulterà annacquata, e i calabresi (vecchi e nuovi, ma sono di più i primi) sgomitano per un posto al sole. Rende, tradizionale feudo di Sandro Principe, non può sostenere il suo ras, poiché la sua candidatura in deroga allo Statuto è stata bocciata a Roma. A quel punto, secondo i carabinieri, le persone intercettate – tutte dell’entourage dell’ex assessore regionale alla Cultura – pianificano una strategia mirata a commettere «”brogli elettorali”» per battere quello che Principe considera il proprio avversario politico, cioè Mario Maiolo, anch’egli ex assessore regionale (alla Programmazione dei fondi comunitari), sponsorizzato da Enrico Letta. Il tentativo è quello di far primeggiare Ernesto Magorno, che poi sarà candidato ed eletto parlamentare e successivamente, nel febbraio 2014, diventerà segretario regionale del Pd.
Sono i più stretti collaboratori di Principe a raccordarsi con il loro “capo” per avviare tutte le formalità pre-elettorali. In particolare, secondo quanto avrebbero registrato gli investigatori, la raccolta di firme per sostenere la candidatura, sarebbe avvenuta ancor prima che il candidato fosse stato individuato. Si raccoglievano le firme con il nome in bianco, tanto per cominciare il percorso verso quella che, tra i dem, viene sempre raccontata come una “grande festa democratica”. Principe e i suoi uomini controllano il voto nei seggi. È proprio l’ex sindaco di Rende a chiedere se i rappresentanti di lista degli altri candidati siano sempre presenti. Dopo aver ricevuto una risposta negativa, secondo i carabinieri, indica al suo interlocutore di fare qualcosa, ottenendo un “ho capito!” come risposta.
Per gli investigatori non c’è dubbio: il tentativo messo in atto è quello di far votare anche chi non è andato materialmente al seggio, fermandosi in un primo momento soltanto alle persone conosciute, per poi spingersi, eventualmente, più in là e forzare ancora la mano. Voti fantasma, dunque. Nel pieno spirito di una “grande festa democratica”.
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it
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