Leonia, le mani dei Fontana sui rifiuti fin dal 2002
REGGIO CALABRIA Ha radici antiche e fin dal principio è nata come un’indagine antimafia quella che nel 2012 ha svelato come il clan Fontana abbia messo le mani sulla Leonia, municipalizzata che per a…

REGGIO CALABRIA Ha radici antiche e fin dal principio è nata come un’indagine antimafia quella che nel 2012 ha svelato come il clan Fontana abbia messo le mani sulla Leonia, municipalizzata che per anni si è occupata della raccolta rifiuti a Reggio Calabria. A dirlo chiaramente è stato Renato Panvino, oggi direttore della Dia di Catania, ma negli anni duemila prima a capo della Catturandi della Squadra mobile reggina, quindi dello Sco, due sezioni che in diverse fasi sono state interessate dell’indagine sui Fontana. Forse improvvidamente chiamato dalle difese come teste a discarico, Panvino non ha aperto alcun varco nell’impianto accusatorio.
CONTATTI CON DE CARIA FIN DAL 2002 Al contrario, ha confermato come fin dal principio gli elementi emersi sull’allora latitante, Giovanni Fontana, «uno dei vertici del “cartello” di ‘ndrangheta “Fontana-Condello-Imerti», avessero mostrato un quadro estremamente complesso e meritevole di attenzione. «Ascoltavamo i familiari del latitante – ha spiegato il dirigenti – attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, da cui emersero i contatti tra De Caria e Tonino Fontana». Un elemento determinate che mostra in maniera plastica come il progetto di “prendere” la Leonia fosse datato nel tempo e strutturato nei dettagli. A dimostrarlo ci sono una serie di dettaglii, raccolti in quegli anni dagli uomini della Catturandi, e che oggi disegnano un quadro – preciso – di quella colonizzazione.
QUEL CURIOSO VIAGGIO A FROSINONE Monitorando i Fontana, gli uomini della Mobile arrivano alla Ecotherm. E già allora quello che diverrà il direttore operativo della Leonia, Bruno De Caria e Antonino De Caria – figlio di Giovanni, e oggi imputato insieme ai fratelli Francesco e Giandomenico – lavoravano in tandem. «L’azienda di Frosinone che doveva fornire i camion alla Leonia – racconta Panvino – aveva necessità di appoggiarsi su Reggio su un’officina che curasse la manutenzione dei mezzi con operatività h24. Fu così che De Caria accompagnò Tonino Fontana in azienda a Frosinone». Un dato che lì per lì sorprende gli investigatori, che all’epoca non riuscivano a inquadrare il motivo di tali trasferte. «Avevamo ipotizzato che Giovanni Fontana potesse nascondersi a Roma, da sempre base della ‘ndrangheta reggina. Quando capimmo che alcuni sviluppi investigativi non avevano attinenza con la cattura del latitante passano per competenza l’indagine ai colleghi della sezione “criminalità organizzata”».
IL GRANDE BUSINESS DELLE MUNICIPALIZZATE Nonostante il capo storico fosse latitante – aveva capito già all’epoca la Catturandi – i Fontana non si erano tirati fuori dalle dinamiche criminali cittadine, tanto meno avevano rinunciato agli affari. E il business – ricco su cui il clan ha da principio messo le mani – era quello delle municipalizzate. Un settore importante non solo per i Fontana, ma per la ‘ndrangheta reggina tutta. È proprio sulle municipalizzate infatti che è stato cementato l’assetto della ‘ndrangheta nuova che la seconda guerra di ‘ndrangheta negli anni precedenti aveva definito. È proprio sulla spartizione degli enormi guadagni delle municipalizzate che il direttorio – I De Stefano, Tegano, Condello, Libri – hanno consolidato il proprio potere e le gerarchie in città. Un prisma attraverso cui si spiega anche il periodo di minacce e intimidazioni vissuto dalla Leonia fra il 2007 e il 2008.
IL PERIODO NERO DI LEONIA «In particolare – racconta Panvino – ci fu un episodio che destò particolare allarme sociale, quando un mezzo della Leonia fu fermato da un gruppo di persone incappucciate a piazza del Popolo, furono fatti scendere gli operai e poi crivellato a colpi di arma da fuoco>. Intimidazioni intrise di ndrangheta». All’epoca, le indagini si concentrarono su due piste – rivela il dirigente – «I concorsi effettuati dalla Leonia in quel periodo che prevedevano l’assunzione di 55 operai a fronte di oltre 4.000 domande. E l’acquisizione da parte delle “Leonia” della quota privata di Fata Morgana la società che gestiva la raccolta differenziata dei rifiuti». Nessuna delle due ha mai portato a nulla di concreto – dice netto Panvino, spazzando via le speranze di chi, probabilmente, su tali ipotesi bocciate dalle indagini vorrebbe tentare di proporre al Collegio ricostruzioni alternative. Ma l’attuale capo della Dia di Catania sul punto è netto. Quelle ipotesi non hanno portato a niente, mentre non c’è stato mai dubbio alcuno sulla matrice di attentati e danneggiamenti. «Noi eravamo sicuri, dietro c’era la ‘ndrangheta».
LE PRETESE DEL TRUMVIRATO Nel 2010 – è emerso in modo chiaro nel corso di altre udienze – saranno i pentiti Roberto Moio, Nino Lo Giudice e Consolato Villani a squarciare il velo sul significato di quella stagione di terrore. Tra il 2007 e il 2008 – hanno spiegato i collaboratori e hanno confermato le indagini a riscontro – i De Stefano, i Tegano e i Condello hanno rivendicato per sé quel business fin troppo redditizio che in principio era stato affidato ai Fontana. Un diktat cui i Fontana si sarebbero piegati. A loro – ha svelato proprio l’indagine Leonia – sarebbe rimasta la gestione operativa e una quota dell’infinito business delle false manutenzioni foraggiato con i fondi del Comune. Ma il “tesoro” delle municipalizzate sarebbe passato – interamente – in mano all’elite della ‘ndrangheta reggina, che proprio grazie a quelle società mantenute dallo Stato ma gestite da privati compiacenti, avrebbe consolidato la propria supremazia.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it