ROMA Che i salotti romani siano luogo di decisioni e affari importanti, in seguito solo ratificati nei palazzi istituzionali, è cosa nota. Quel che non era noto, quanto meno fin quando la Dda di Reggio Calabria non ci ha messo il naso, è che fra le residenze che contano ci fosse quella di Giuseppe Pizza.
Calabrese di Sant’Eufemia d’Aspromonte, piccolo comune a pochi passi da Reggio Calabria, negli anni settanta Pizza è nella direzione giovanile della Democrazia cristiana, per poi finire in giunta esecutiva quado a dirigere il partito sono Arnaldo Forlani prima e Amintore Fanfani poi. A regalargli notorietà però non sono stati i poco significativi incarichi collezionati all’interno della burocrazia della Balena Bianca, quanto la battaglia per rivendicare la paternità sullo Scudocrociato.
Nel 2008, il suo partito – riconosciuto come unico vero erede della Dc da una contestata sentenza del Consiglio di Stato – rischia di far slittare le elezioni a causa di un’articolata serie di ricorsi. Poi, Pizza ci ripensa. Quel giro lo salta, ma durante la sua «campagna elettorale simbolica» volta le spalle all’Unione con cui due anni prima si era schierato, chiedendo di votare per il Pdl di Berlusconi. Arrivato al governo, il Cavaliere sceglie Giuseppe Pizza come sottosegretario all’Istruzione.
A mettere una buona parola per lui – ha affermato pubblicamente Leo Pellegrino, ex sindaco di Caltabellotta (Agrigento) e membro del consiglio nazionale della Dc – sarebbe stato Marcello Dell’Utri in persona, all’epoca potentissimo numero due di Forza Italia. Un dato difficile da verificare anche per il pm Paolo Iero a cui Pellegrino sostiene di averlo raccontato, ma che non riesce a inquinare gli anni di Pizza a viale Trastevere. Tantomeno la sua leadership all’interno della nuova Dc, blindata dal fratello Lino piazzato come segretario organizzativo.
Al ministero, Pizza ci rimane fino al 2013, quando tenta – senza successo – di entrare in Parlamento sotto le bandiere del Pdl. Le avverse sorti elettorali però non sembrano pregiudicare le sue quotazioni sociali. Nel suo salotto, si continuano ad organizzare cene importanti e attorno al suo tavolo si accomodano nomi noti. Anche all’autorità giudiziaria. Lo hanno scoperto gli uomini della Dia, che per ordine del pm della Dda di Reggio Calabria, stanno indagando sulle attività dell’ex ministro Claudio Scajola e dell’imprenditore catanzarese, Vincenzo Speziali, nipote dell’omonimo ex senatore del Pdl.
Il primo è attualmente imputato a Reggio Calabria con l’accusa di aver aiutato l’ex deputato di Forza Italia, Amedeo Matacena a sottrarsi ad una condanna definitiva per mafia e ad occultare il suo immenso patrimonio. Il secondo, Speziali, è latitante per le medesime accuse. Nel febbraio 2014, i due non sospettano neanche di essere nel mirino della magistratura, per questo parlano liberamente di quelle cene affollate di nomi noti della politica e dell’imprenditoria italiana, di cui entrambi sembrano essere spesso graditi ospiti. Spunta il nome di Guglielmo Epifani, quello di Alessandro Forlani, il figlio dell’ex storico segretario Dc, ma anche quello di Emo Danesi, che della Balena Bianca era deputato prima di essere sospeso dal partito nei lontani anni ’80 perché massone e piduista. Ed è a loro che gli investigatori sono andati a chiedere di cosa si discutesse durante quelle cene. Perché il sospetto degli investigatori è che proprio in quei salotti ci siano i contatti e i legami della rete tessuta da Scajola e Speziali per salvare Matacena.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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