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Dure condanne per gli aguzzini di Giuseppina Multari

REGGIO CALABRIA Sono stati tutti condannati a pene severe gli aguzzini di Giuseppina Multari, la collaboratrice di giustizia che con le sue rivelazioni ha inchiodato il clan Cacciola di Rosarno. Una…

Pubblicato il: 07/04/2016 – 7:51
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Dure condanne per gli aguzzini di Giuseppina Multari

REGGIO CALABRIA Sono stati tutti condannati a pene severe gli aguzzini di Giuseppina Multari, la collaboratrice di giustizia che con le sue rivelazioni ha inchiodato il clan Cacciola di Rosarno. Una famiglia in cui era entrata da moglie innamorata del rampollo di famiglia, Antonio, ma che per lei si era trasformata in un’infernale prigione, dopo il suicidio di lui, uomo fragile e cosciente di esserlo, tanto da annegare per anni il proprio senso di inferiorità nella droga, nell’alcol e nelle relazioni extraconiugali prima di togliersi la vita. Una morte che Giuseppina ha pagato a caro prezzo. «Una sera», ha raccontato ai pm dopo essere entrata nel programma di protezione, «io ero da sola con le bimbe. Mio suocero (Domenico Cacciola, ndr) mi prende per le braccia mi scuote e dice: “Se mio figlio si è ucciso per te, ammazzo te e tutta la tua famiglia”. Una sentenza di morte non eseguita, ma che si è trasformata in un calvario durato anni. Giuseppina ha finito per essere prigioniera dei familiari dell’uomo che amava e contro i consigli della propria famiglia aveva deciso di sposare, continuamente minacciata di morte e resa impotente dalle continue intimidazioni che arrivavano all’indirizzo delle figlie, che i Cacciola avrebbero voluto sottrarle definitivamente. Per questo i pm Luca Miceli e Roberto Di Palma avevano chiesto che fosse riconosciuto il reato di riduzione in schiavitù, ma i giudici non hanno soddisfatto la richiesta. Per i Cacciola arrivano però in ogni caso condanne pesantissime. Sono 9 gli anni di carcere inflitti a Domenico Cacciola, il suocero di Giuseppina, da tempo scomparso e secondo alcune ipotesi vittima di lupara bianca. Sei anni sono stati invece inflitti a Gregorio Cacciola, Vincenzo Cacciola, Maria Cacciola e Teresa D’Agostino , mentre è di 4 anni di carcere la pena inflitta a Jessica Oppedisano. Per i giudici, sono tutti a vario titolo responsabili di maltrattamenti e sequestro di persona aggravato dalle modalità mafiose.
Da ospite sgradita ma tollerata a casa Cacciola, Giuseppina per anni è diventata un ostaggio. Da sola la donna non poteva uscire di casa neanche per fare la spesa, accompagnare le figlie a scuola o in ospedale per i regolari controlli che almeno una di loro, malata, era obbligata a fare. Solo scortata da cognati o altri familiari poteva andare al cimitero per piangere sulla tomba del marito, o forse maledirlo per averla abbandonata. L’unico posto in cui era libera di recarsi – ha detto ai magistrati – era «un pezzettino di terra appartato là dove non c’era nessuno all’infuori degli animali». Era l’unico spazio di libertà per Giuseppina e le sue figlie. «C’era una cavalla. Era come se fosse stato l’unico essere vivente a capirmi. Parlavo solo con Margherita, la cavalla, perché le altre parole era meglio tenersele dove stavano». Solo dopo aver toccato il fondo, tentando addirittura il suicidio, Giuseppina Multari troverà il coraggio di ribellarsi. Sarà troppo tardi per il fratello, sparito nel nulla dopo averla soccorsa nella notte in cui aveva deciso di farla finita, ma non per le sue figlie, insieme alla madre liberate dal giogo dei Cacciola grazie a quella lettera che dopo anni di calvario Giuseppina trova il coraggio di scrivere e affidare al padre, con il compito di consegnarla ai magistrati antimafia di Reggio Calabria. Una lettera che per Giuseppina ha significato l’ingresso nel programma di protezione e il ritorno alla libertà.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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